L’Italia, l’Europa, il mondo intero stanno vivendo tempi bui, di paura, di guerra, di terrore.

Sembravano, tempi simili, appartenessero al passato, sepolti con le nefandezze della Seconda guerra mondiale, l’Olocausto, le bombe su Hiroshima e Nagasaki.

L’orrore, invece, torna ad incombere, dopo oltre settanta anni, su generazioni che sono venuti a conoscenza di tali misfatti attraverso i racconti dei nonni o delle pagine grigie e forzatamente neutre dei libri di storia sui banchi di scuola. Non che siano mancati, sulla materia, libri e film coraggiosi, ma essi erano indirizzati agli specialisti e il grande pubblico li riteneva il retaggio di un periodo storico ormai passato e che mai più sarebbe tornato, almeno nella stessa orrenda forma.

Oggi, purtroppo, come allora, un’immane tragedia insanguina nazioni, stermina popoli (uomini, donne, bambini inermi) soltanto perché «diversi», appartenenti a credi, religioni, razze differenti, con cultura, abitudini e comportamenti ritenuti nocivi e lesivi rispetto ai propri.

È tempo che i giovanissimi siano messi di fronte a questa nuova epocale ondata di barbarie e in grado di coltivare dentro di sé quegli anticorpi per poter mettere a fuoco il pericolo reale di questa nuova catastrofe a cui l’umanità va incontro. Si adoperino per costruire ponti e non muri. Non innalzino reticolati, ma accolgano, aiutino a sconfiggere il «male assoluto», diano speranza a chi scappa dalla tragedia delle guerre, delle carestie e del mare per salvare se stessi e il proprio futuro.

Ma cosa sanno realmente i ragazzi, cosa sappiamo tutti noi di quel mondo, di quelle cruenti e inutili guerre? Cosa dei milioni di esseri umani che affidano la loro vita ai nuovi mercanti di schiavi? E cosa siamo disposti a fare per spezzare questo diabolico cerchio di morte: massacri, fame, fughe, muri?

Ciò che sappiamo è quello che, distrattamente, riusciamo a cogliere, fra uno zapping e l’altro, fra un talk-show e un reality, fra un varietà e una fiction, sommersi di pubblicità, in televisione.

I media, con cadenza quotidiana, assillante, ci propongono scene di guerra e di macerie, sbarchi, bivacchi, file interminabili di profughi. Esse, però, ci arrivano come appartenenti a un mondo lontano, non nostro, un film fra i tanti che mette si paura, angoscia, ma che non emoziona, non coinvolge. Al massimo quegli uomini neri, quelle figure incappucciate inquietano le notti e il sonno dei nostri bambini e gli sbarchi, le file, i bivacchi, provocano sentimenti di minaccia alla nostra sicurezza

Il giovane fumettista aretino, Michele Rech, non ancora trentatreenne (12 dicembre 1983), che firma le sue opere con lo pseudonimo Zerocalcare, ha consegnato nell’aprile di quest’anno, alla casa editrice Bao Publishing, i racconti pubblicati sulla rivista Internazionale insieme a quelli inediti dei suoi viaggi in Turchia, Iraq e Siria, raccolti in un unico volume Kobane Calling.

Con questo nuovo volume, come è nel suo stile essenziale, dissacrante, ironico, e pieno di velata malinconia, senza incrostazioni di sorta, orpelli e giri di parole (zero calcare), Rech compie un’ opera straordinaria di divulgazione di quegli scenari di guerra, di odio, atroce crudeltà e terrore perpetrati dal fanatismo islamico dell’Isis ai danni di popolazioni curde inermi, donne e uomini coraggiosi che si battono per riappropriarsi del proprio territorio e vivere in pace, nella fratellanza  e democrazia.

Un vero reportage di guerra, degno del migliore giornalismo. Puntuale, attento, reale, critico e reso, tuttavia dalla tecnica del fumetto, più semplice, immediato e comprensibile. Un’opera che fra una risata e una lacrima, coinvolge, smuove le coscienze, spinge alla solidarietà, induce a prendere le distanze da quella classe politica occidentale che costruisce barriere, soffia sul fuoco per salvaguardare presunte frontiere e, nel contempo, stipula patti sotterranei per accrescere i propri interessi economici.

Zerocalcare racconta e disegna la Storia nei luoghi dove la Storia si compie. Non ha pretese pedagogiche. Nessun insegnamento. Nessuna proposta. Solo testimonianza. Eppure quelle parole e quelle immagini tracciate con leggerezza e rigore sulla carta non possono che restare impresse nelle nostre menti e nei nostri cuori, coinvolgere, creare empatia. Per mascherare decisioni strategiche, visioni politiche e programmi, ha, spesso, fatto parlare animali, sagome, immagini sfocate, voci fuori campo e per tutelare, invece, le persone che l’hanno aiutato durante il soggiorno a Erbil e raggiungere le montagne, ha rappresentato alcune persone con le fattezze di olive piccanti e formaggio caprino: «Dietro ‘sti disegnetti ovviamente c’erano carne, pensieri e vite che avevo scelto di non raccontare. Una di queste persone è caduta durante la stesura di questo libro. Si chiamava Berzan».

Il giovane fumettista di Arezzo è stato sulle montagne irachene e non le ha trovate molto dissimili dal quartiere di Rebibbia dove ha trascorso l’adolescenza. Su quelle montagne ha vissuto, mangiato, dormito con i guerriglieri. Con loro c’erano anche donne giovanissime, ancora adolescenti. Una di esse, sedicenne, vi è andata quando aveva quattordici anni. A diciotto deciderà se combattere o tornare fra i civili. Ci è andata perché la famiglia l’aveva venduta in sposa e uno zio la violentava. Ci è andata perché sapeva che nessuno, lì, avrebbe permesso le facessero del male. Molto di loro resteranno e andranno a combattere e, alcune di esse, moriranno senza chiedere nulla in cambio. Così vivono, così muoiono quelle fanciulle, ma almeno sono libere.

Nel salutarle Rech ha un nodo alla gola. Non lo dice, non lo fa capire e continua a pensare a quello che potrebbe accader loro.

Durante il ritorno a Roma rimugina la loro preghiera. La preghiera dei banditi. «… signora dei banditi, oltre alla pelle, non abbiamo altro da darti se non questa preghiera…. fa che i figli del nostro sacrificio portino nel cuore sangue e libertà … fa che tra cent’anni ci sarà chi curerà questa ferita che non guarisce mai … »

Kobane Calling va consigliata ai giovani  che ignorano il passato e stentano a capire il presente, ma, soprattutto agli adulti che hanno smarrito la memoria o fingono di non ricordare e non vogliono comprendere che la nuova catastrofe non è circoscritta alle regioni e ai popoli di fede musulmana, si abbatte su l’intera umanità adesso come allora.

Alessandra Chiaromonte

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