Quando le dissero che sua madre era morta, Vera sentì il cuore frantumarsi in mille piccoli pezzi. Dieci anni sono pochi, troppo pochi, per perdere la propria mamma. Si sentì improvvisamente sola, chiusa dentro una scatola di vetro, terrorizzata che le sottili pareti potessero rompersi e trafiggerla con le schegge. Corse in giardino, incurante delle braccia di suo padre che cercavano di tenerla stretta a sé. Cercò l’angolo più nascosto e si accucciò tra le fronde della siepe, all’interno di un incavo segreto che aveva scoperto un giorno per caso, giocando a nascondino proprio con la sua mamma. Incastrò la testa in mezzo alle ginocchia coprendosi con le braccia. Cominciò a ripensare ad un tempo lontano che a questo punto non sarebbe più tornato: pensò a sua madre mentre faceva l’albero di Natale, alla torta di carote che le preparava tutte le domeniche, mentre lei finiva di fare i compiti per il giorno successivo. Si ricordò di quel giorno al mare in cui erano rimaste a godersi il tepore dell’ultimo sole estivo finché il proprietario dello stabilimento non aveva chiesto loro di liberare i lettini per la chiusura. Le ritornò in mente il giorno in cui avevano portato a casa il suo fratellino più piccolo e lei aveva subito provato una fitta di gelosia nel vedere come sua madre lo cullasse e lo baciasse. Ma lei l’aveva prontamente avvolta in uno dei suoi abbracci che sapevano di pane appena sfornato e di vaniglia e le aveva assicurato che nel cuore di una mamma c’è posto per tutti e che l’avrebbe amata per sempre, per tutto il tempo che ancora avevano da condividere. Tutto il tempo. Troppo poco. La sua mamma non c’era più. E adesso quale abbraccio avrebbe più potuto consolarla? Quale parola? Quale persona? Niente e nessuno. Perché niente e nessuno poteva essere come la mamma. Improvvisamente sentì un morso alla bocca dello stomaco. Era arrabbiata. Era arrabbiata con la sua mamma. Era arrabbiata perché non era rimasta con lei, perché si era fatta vincere dalla morte, perché l’aveva lasciata sola e spaventata. Ma questo solo pensiero le fece riempire gli occhi lacrime. Come poteva essere arrabbiata con la persona che aveva amato di più al mondo? Sua madre non avrebbe mai voluto lasciarla, questo lo sapeva. Se solo avesse avuto una possibilità di scegliere avrebbe dato tutto ciò che aveva, avrebbe sacrificato il mondo intero pur di restare anche un solo giorno in più con lei. Improvvisamente realizzò che non aveva altra scelta che rimanere in quel dolore, che solo quello che provava poteva aiutarla  a sentirsi più vicina a lei. Si chiese se, là dov’era, anche sua madre fosse triste e sentisse la sua mancanza. Si chiese se cercasse di protendere le mani, proprio come faceva lei, per cercare di abbracciare il vento, immaginando che fosse una sua carezza. Perché era lì ormai che doveva immaginare la sua mamma. Nel vento, nella pioggia, nel sole, nell’erba, in tutto ciò che poteva raggiungerla ed accarezzarla, anche senza rivelarle apertamente che era lei. A lei rimaneva il difficile compito di percepirla ovunque fosse. Di nuovo la paura. E se un giorno avesse smesso di sentirla? E se un giorno il vento non avesse avuto più lo stesso soffio o la pioggia la stessa flebile carezza? Quale significato avrebbe avuto? Sua madre poteva dimenticarsi di lei? Anche in cielo, così come in terra, il tempo cancella tutte le cose? No, si disse. Il tempo non cancellerà nulla. Avrebbe continuato a sentirla, a vederla, a percepirla ovunque lei fosse. Pregò che continuasse a vegliare sui suoi passi, che continuasse a guidare le sue scelte. Pregò di poterla rivedere un giorno, che quella non fosse davvero l’ultima volta. In cuor suo, decise che avrebbe vissuto per sempre in questa speranza. Con un piccolo ramo disegnò un cuore per terra. Dentro ci scrisse “mamma”. E lo baciò

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