Christian Boltanski, Personnes, Hangar Bicocca, Milano, 2010 –
https://www.abitare.it/it/archivio/2010/06/25/la-vita-degli-abiti/
di Giordano Pariti
“Impedire l’oblio, arrestare la scomparsa delle cose e degli esseri mi sembrava un nobile obiettivo, ma ben presto capii che questa ambizione era destinata al fallimento, giacché non appena tentiamo di preservare qualcosa, la fissiamo nello spazio e nel tempo. Possiamo conservare le cose solo arrestando il corso della loro vita”. (C. Boltanski)
Personnes é un’installazione monumentale creata nel 2010 da Christian Boltanski per il Gran Palais di Parigi il cui titolo gioca sul duplice significato della parola francese persone/nessuno.
Proprio questa ambivalenza rappresenta il nucleo centrale del lavoro: siamo persone ma saremo nessuno e del nostro essere stati, solo un abito testimonierà la nostra assenza.
L’installazione consiste in una montagna di vestiti usati (più di 30 tonnellate) sovrastati da una enorme gru che con le sue benne li solleva e li butta senza alcuna logica.
La gru rimanda al caso, al destino oppure, per i credenti, alla mano di Dio; non è dato sapere chi sarà preso dai suoi artigli e chi verrà risparmiato, è una sorta di metafora della fragile e transitoria condizione umana.
Dopo Parigi, Personnes è stata presentata a Milano presso l’Hangar Bicocca e qui il lavoro si arricchisce di un ulteriore sensazionale elemento: alla montagna di vestiti si giunge attraversando un lungo corridoio che rappresenta il cammino della vita e man mano che si procede si percepiscono dei battiti cardiaci che gradualmente diventano sempre più forti e penetranti.
Sono i battiti del cuore registrati dalle persone che hanno visitato l’installazione, costantemente aggiornati e custoditi presso l’isola giapponese di Teshima dove ha sede gli Archivi del cuore, una fondazione che raccoglie tutti i battiti cardiaci delle persone che hanno interagito col lavoro di Boltanski.
Il suono del cuore insieme all’odore acre e pungente dei vestiti usati conferiscono alla montagna di abiti qualcosa di vivo che resiste e coinvolge tutti i sensi dei visitatori.
L’idea dell’artista é quella di far emergere in ognuno di noi una domanda fondamentale sul destino e sulla ineluttabilità della morte: ciò che mi accade è semplicemente dovuto al caso oppure é la precisa scelta di una forza superiore che mi governa?
Sul perché della morte non esistono risposte, nè confortanti giustificazioni: tutto accade perché deve accadere e l’impronta di chi ha vissuto talvolta è data esclusivamente da un vestito indossato.
La gru afferra gli abiti (le vite), li solleva, lasciandoli nuovamente cadere nel mucchio senza alcuna ragione: questo è ciò che è accaduto alle persone che li hanno indossati e ciò che accadrà anche a noi e ai nostri vestiti.
Questo accumulo di assenze, sostenute dal suono dei battiti del cuore, sono materializzate negli abiti, nel loro perforante odore, per tentare di dare una forma alla morte, a quelle tracce ormai prive di vita che ogni abito porta con sè.