Dare un nome alle cose è il punto di partenza. All’inizio della Genesi, Dio, dopo aver creato gli animali, li presenta all’uomo affinché dia loro un nome. Dare un nome alle cose, agli animali, alle persone è evidentemente fondamentale. Perché è il primo passo verso l’identità individuale. Dare un nome al dolore, allora, assume un significato maggiore: individua il problema. Se parlare dell’aborto di un figlio è difficile, è ancora più difficile riconoscere che per questa ragione stiamo vivendo un malessere. Lo stress post-aborto è reale, anche se difficilmente individuabile: senso di vuoto, tristezza profonda, bassa autostima, incapacità di portare a termine le azioni, difficoltà relazionali, chiusura in se stessi. Cominciare a riconoscersi, a vedere che c’è un problema, a dargli il nome giusto, è il passo necessario verso la guarigione.

All’Autrice dobbiamo riconoscere il merito di offrire un percorso terapeutico scientificamente validato per affrontare una sofferenza ancora troppo taciuta.

Dalla Prefazione di Tonino Cantelmi

Un punto di forza di questo libro sta nel superare il confine dell’informazione e della denuncia per proporre un percorso finalizzato a risolvere le conseguenze psicologiche che colpiscono chi ha nel proprio bagaglio esistenziale «un figlio mai nato».

Dalla Presentazione di Alberto Passerini

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