Perdere un figlio durante la gravidanza, alla nascita o subito dopo, è un lutto aggravato da una serie di inadeguatezze sociali, mediche e giuridiche. E noto il legame fra lutto perinatale e suicidio delle madri entro l’anno successivo… Ma come elaborare il lutto di un bambino che non è mai venuto al mondo e quindi, per la legge, non esiste? Come dire il proprio dolore di “genitori”, quando nostro figlio non ha neppure un nome? Come ci si sente quando la società preme perché si “rimetta in cantiere un’altra vita”, dopo aver “messo la mondo” la morte? L’autrice, madre di quattro figli di cui due nati morti, ha scritto questo libro perché all’uscita dal reparto di maternità i genitori, gli operatori sanitari e i professionisti dell’accompagnamento lavorino insieme per restituire la legittimità dell’esistenza, della morte e del lutto del figlio perduto, e per favorire una riflessione che elimini le incongruenze della legge, secondo la quale un nato vivo, anche molto prematuro e rimasto vivo per pochi istanti, è un cittadino a tutti gli effetti, mentre non lo è il nato morto, anche a termine di gravidanza, per cui non compare nello stato di famiglia; e se poi è nato morto prima della 28a settimana di gestazione, è considerato un “prodotto abortivo” e “smaltito” come “rifiuto ospedaliero” a meno che non si intervenga per impedirlo con un apposito adempimento burocratico, nel qual caso finirà nei terreni cimiteriali comuni, i “campi degli angeli”.

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