La sera del 16 aprile 2013, la vita di Lucia Annibali cambia per sempre. Un’aggressione brutale, consumata proprio davanti alla porta di casa, pone fine a un prima – fatto di quotidianità, lavoro, relazioni – e apre un dopo che non sarà mai più uguale. “Mi hanno aggredita in casa – anzi, sulla soglia – ma forse quello spazio comune rappresenta l’ultimo limbo di vita, prima. Prima della violenza che ha investito tutta la mia esistenza.” Due uomini assoldati dal suo ex compagno le gettano sul volto e sulle mani acido solforico. Non la uccidono, ma le lasciano ferite profonde, nel corpo e nell’anima. “Quattro flaconi (…) che servirono a compiere il massacro del mio viso.”
Eppure, Lucia non perde mai la lucidità. Collabora con medici e inquirenti, chiama la madre, si affida a chi le vuole bene. Inizia così un lungo percorso medico, fatto di interventi, riabilitazione e piccoli traguardi: tornare a mangiare da sola, a parlare, a vedersi, a riconoscersi. A essere, di nuovo, autonoma.
Nel suo libro Il futuro mi aspetta, Lucia Annibali racconta la sua storia con precisione, senza retorica, alternando fatti oggettivi a riflessioni intime. E riesce in un’impresa rara: condividere la sofferenza senza mai cercare compassione. La sua forza sta proprio nella fiducia che ripone negli altri: medici, familiari, amiche. Un’umanità concreta, fatta anche di piccoli gesti, come quello – delicato, sorprendente – della ceretta in ospedale: “Cercavano di farmi sorridere, di alleviare la tristezza, mi davano coraggio, mi consolavano e mi insegnarono a cercare la pazienza dentro me stessa. A un certo punto mi fecero anche la ceretta. (…) Fu Elena Fornari, la caposala, a occuparsene, con molta delicatezza.”
Evita così il baratro dell’isolamento, della solitudine, della depressione. Ma la paura rimane. Anche a distanza di anni. Anche quando torna a vivere da sola: “Tornarono gli incubi (…). Col tempo le cose non migliorarono. Iniziai ad avere paura se sentivo dei rumori. (…) Entravo e controllavo che tutto fosse come io l’avevo lasciato.”
La speranza, però, non l’abbandona. Non si tratta solo di un sentimento astratto, ma di una pratica concreta, fatta di scelte e responsabilità. Lucia decide di raccontarsi: prima ai detenuti, poi agli studenti. Prende posizione, si espone, si fa carico della sua storia. Nel 2016 diventa Consigliere giuridico per il Dipartimento delle Pari Opportunità e contribuisce all’approvazione del Reddito di Libertà, un sostegno economico per le donne vittime di violenza e i loro figli. “È tutt’ora vigente (…) e sono fiera che porti la mia firma.”
Nel suo percorso non manca il dolore, né la consapevolezza di ciò che ha perso. Non ha mai perdonato il suo aggressore: “Non l’ho perdonato, come potrei?”
Eppure, ha trasformato la rabbia in impegno, la paura in presenza, il dolore in testimonianza. Oggi è Difensora Civica della Regione Toscana, un ruolo che sente vicino alla sua sensibilità e ai suoi valori. La sua voce è forte, ma non invulnerabile. Si confronta anche con gli attacchi di chi non accetta che una donna possa trasformare la violenza subita in una nuova vita pubblica: “Quando uscì la notizia della mia candidatura e cominciai a ricevere insulti e offese, non ne fui sorpresa. Ciononostante, fu avvilente.” La speranza non è mai passiva; è azione, scelta, fatica quotidiana e, anche se non cancella il passato, lo rilegge in funzione del futuro. Un futuro che, come lei stessa scrive, “mi aspetta”.
Ilaria Bignotti Faravelli, psicologa
Lucia Annibali, Il futuro mi aspetta, Feltrinelli, Milano, 2024.