Immagine: Andreas Serrano, Infectious Pneumonia, 1992 – https://andresserrano.org/series/the-morgue
di Giordano Pariti
“Credo che sia necessario cercare la bellezza anche nei luoghi meno convenzionali o nei candidati più insospettabili. Se non incontro la bellezza non sono capace di scattare alcuna fotografia” (Andres Serrano)
In una società in cui in modo schizofrenico da un lato si perpetua il culto della incorruttibilità del corpo, negandogli persino il naturale scorrere del tempo e dall’altro overdose di violenza e morte sono esaltate in film, videogames e social media, la rappresentazione della morte negli scatti di Andres Serrano continua ancora a suscitare sentimenti di forte disagio e ripugnanza.
L’arte da sempre ha raffigurato la morte cercando di rappresentarla in termini sia allegorici che meramente corporali; i martìri dei santi e le crocifissioni nell’arte cristiana, la dissezione del corpo nello studio dell’anatomia, la sublimazione dei supplizi nella morte di un eroe.
Nelle fotografie di Serrano che compongono il progetto The Morgue le persone ritratte non sono nè santi, nè eroi; della loro identità non conosciamo nulla, non hanno contesto, interazione, non c’è una storia nè un nome, la loro carne esanime è crudamente mostrata senza nessun altro intento se non quello di esibire il corpo nel momento in cui la morte ostenta il suo trionfo.
Corpi lividi, lacerati, corpi di bambini, di vecchi, parti del corpo bruciate o mutilate sono esposte in uno spazio senza tempo, offerte alla vista avviluppate in luci morbide e calde che in opposizione a qualsiasi intento feticistico esibiscono la morte nella sua drammatica bellezza.
Capelli impastati nel sangue, ferite che squarciano la carne, corpi appena colti dalla morte oppure ricomposti e freddi dopo un intervento autoptico sono ritratti, con un gusto fortemente pittorico, in foto di grande formato il cui titolo è dato esclusivamente dall’asettica descrizione del casus mortis.
Nella serie The Morgue l’artista tenta in modo quasi sovversivo di riconvertire il dramma della morte in un momento di puro godimento estetico: non c’è alcun racconto, nessuna pietas o empatia, tutto è in funzione dell’arte, di quella misteriosa alchimia che riesce a trasformare il sangue in un colore, un corpo straziato in un oggetto armonioso, la pelle carbonizzata in indefinibile suggestione.