Nel 1800 il Presidente degli Stati Uniti Abraham Lincoln dichiarava:

Un bambino è colui che proseguirà ciò che avete intrapreso. Egli siederà al posto in cui siete seduti. Dedicherà le sue cure alle questioni che voi oggi ritenete importanti. Prenderà il posto nelle vostre scuole, università, corporazioni e le amministrerà. La sorte dell’umanità è nelle sue mani. (In Pellegrino, 2006)

I bambini nell’immaginario collettivo rappresentano il futuro, purtroppo ancora oggi il futuro di molti bambini è minato a causa delle guerre, sanguinosi conflitti, diffusi in vaste aree del globo. Alcuni di questi conflitti trovano spazio nei mezzi d’informazione, altri invece prosperano nell’ombra e silenziosamente mietono vittime. Come non ricordare i video di innumerevoli bambini malnutriti, mutilati, resi orfani, che lottano per la sopravvivenza!

Che cosa ci suscitano quelle immagini? Non sempre siamo pronti ad accoglierle. Mi tornano in mente le parole del filosofo Mounier:

Il mondo degli altri non è un giardino di delizie, ma una costante provocazione alla lotta, all’adattamento, al superamento e ripresenta costantemente il rischio e il dolore quando eravamo ormai vicini alla pace. L’istinto di autodifesa reagisce rifiutandolo: alcuni dimenticano e sopprimono ogni possibilità di contatto… (Mounier, 1999).

Ma noi non possiamo dimenticare. Dobbiamo ascoltare il grido di quei bambini. Abbiamo la possibilità di trasformare il nostro senso di impotenza in promozione di dialogo tra le varie culture.

Ognuno di noi può contribuire a un cambio di paradigma. Nel corso della storia, l’uomo è riuscito a compiere scoperte scientifiche importantissime, che hanno consentito di migliorare e allungare la vita delle persone, adesso la sfida più grande è quella di generare una società basata sul dialogo, una società capace di creare ponti tra le varie culture anziché bombardare quelli già esistenti. Una società in cui ogni bambino sia riconosciuto fin da subito come persona con le sue peculiarità e i suoi bisogni. Gli educatori, gli insegnanti hanno un ruolo cruciale nella promozione di questo cambiamento poiché possano offrire ai bambini l’occasione di sperimentare nuovi modi di gestione dei conflitti. Le scuole, le classi, i centri di aggregazione giovanile, possano diventare dei piccoli mondi fondati sul riconoscimento e la valorizzazione delle differenze di ogni persona. Luoghi protetti ove ogni bambino con la sua cultura, il suo credo possa sentirsi a casa.

Questi messaggi li ritroviamo nei libri, nei dipinti di Arianna Papini vincitrice nel 2018 del Premio Andersen come migliore illustratore. Gli scritti di Arianna si rivelano degli strumenti preziosi nel promuovere il dialogo all’interno delle scuole. Libri che creano dei ponti tra le varie culture. Nel testo Pareva un gioco, dedicato al crollo delle Torri Gemelle e alla terribile guerra che ha scaturito, la scrittrice riesce a condurre i piccoli lettori all’interno di una dimensione di complessità che supera la narrazione dei buoni e dei cattivi per abbracciare prospettive differenti. Attraverso lo sguardo attento della protagonista, una bambina italiana, incontriamo un bambino americano che dà l’ultimo bacio al suo babbo prima che parta per la guerra, i bambini afgani che hanno il divieto di far volare gli aquiloni e Farid che viene da laggiù, dove c’è la guerra. È qui perché sua sorella sta male e può essere operata solo in Italia. E tra la bambina e Farid nascerà una sincera amicizia (Papini, 2002).

Debora Tringali

Insegno Psicologia Clinica e prima infanzia e Psicologia dinamica presso l’Università Telematica degli Studi IUL. Sono Presidente della Sezione, Il pupazzo di garza per la formazione e la riabilitazione nelle malattie gravi e potenzialmente mortali nell’età evolutiva dell’Associazione Lapo APS. Faccio parte del Laboratorio Multidisciplinare delle Relazioni di Cura dell’Università degli Studi di Firenze.

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