Per ora è solo un progetto. Ma credo che nessuno di noi stenti a credere che si possa realizzare presto. Che diventi una cosa tutto sommato comune dire: “Alexa, che tempo fa a Milano? Dimmelo con la voce di Marilyn Monroe”. Se non ricordo male avevamo fatto qualcosa di simile anche con i navigatori satellitari. Quando il nuovo diventa vecchio sentiamo sempre il bisogno di creare qualcosa di diverso. Di rendere più appetibile ciò che ormai diamo per scontato. E, di solito, lo facciamo introducendo frivolezze, cambiamenti apparentemente non sostanziali. Perciò era diventato estremamente divertente farsi dare le indicazioni stradali in dialetto napoletano, oppure farsi coprire di insulti da una voce elettronica quando alla rotonda avevamo preso la seconda uscita invece della terza. Da morir dal ridere.

Alexa è il navigatore della quotidianità. Ad Alexa si può chiedere qualsiasi cosa, dal sintonizzarsi sul canale radio preferito ai consigli per la dieta estiva. Al bisogno può diventare una sorta di confidente discreta, in quanto non dispensa consigli non richiesti e al massimo può esprimere un timido: “Non ho capito”.

Un mio anziano zio, al terzo “non ho capito”, le ha sibilato un vituperio, al quale Alexa ha ribattuto prontamente: “E’ una grave ingiuria”. Era stata la sua prima vera alzata di capo. Non si sono parlati per tre giorni.

Ma che ne sarebbe del nostro rapporto con Alexa se potesse veramente riprodurre la voce dei morti? Non solo personaggi famosi, ma anche la voce dei nostri cari che non ci sono più. Cosa accadrebbe se davvero potesse riprodurre la voce di una nonna, di una madre, di un amico? Ci permetterebbe di alimentare il ricordo o renderebbe ancora più straziante il dolore della perdita?

Rendere attuale ciò che esiste ormai solo nel passato. Questa credo sia l’ultima sfida della tecnologia. Far divenire accessibile, o comunque immaginabile, l’immortalità. Del resto, è solo un click.

Troppo spesso dietro azioni semplici si nascondono significati complessi. Non siamo padroni completamente della nostra vita e nemmeno delle nostre stesse emozioni. Alimentare un ricordo non significa azionarlo a comando. Il ricordo mantiene il suo valore proprio perché non è sempre immediatamente accessibile: occorre sforzo, impegno dedizione. Il luogo giusto, lo spazio giusto, i rituali giusti. Il ricordo non è solo una voce. Il ricordo è presenza eterea, è anche rimodulazione della realtà. Non sempre ricordiamo le cose esattamente come sono accadute. Non importa. Fa parte della narrazione, della grande narrazione della nostra vita. Essa viene quindi romanzata? A volte. A volte è proprio quel non essere aderente alla realtà dei fatti a rendere il ricordo vivibile, a restituirlo alla nostra coscienza così come essa è capace di accoglierlo e di cullarlo dentro di sé.

Il ricordo ci rende liberi, anche di ricordare solo quello che vogliamo. Il ricordo siamo noi: noi che consciamente o inconsciamente sorvoliamo con la nostra anima le zone di buio e di luce della nostra vita.

Alexa non ha nulla in comune con la nostra anima. Alexa è un dispositivo, una lente virtuale che non può essere regolata se non attraverso le leggi del marketing. Li chiamano cookies, biscottini, perché le verità amare vanno giù meglio se suonano dolci.

Quando penso a chi ho amato e che adesso non c’è più, penso proprio alla loro voce. E darei qualsiasi cosa per sentirla ancora una volta. Credo che utilizzare questo bisogno umano per scopi di mercato non sia onesto. Credo che una tecnologia che deliberatamente soppianti l’umano sentire abbia fallito nel suo compito fondamentale: supportare la persona, non sostituirla. Ma forse è proprio questo l’obiettivo. Che ognuno di noi, vivo o morto che sia, non sia più quello che è. E sulle conseguenze di un mondo senza alcuno di reale, lascio ad ognuno trarre le sue considerazioni.Monica Betti

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