Fonte:https://www.exibart.com/evento-arte/giordano-pariti-con-la-terra-che-ho-spostato-per-seppellire-il-tuo-corpo-ho-costruito-una-collina-da-cui-contemplo-il-mondo/

L’installazione fotografica di Giordano Pariti è un racconto archetipico, la narrazione di un processo psichico, l’elaborazione di un lutto che non si confronta con la perdita definitiva ma con la presenza dell’assenza

Sede evento: Ferrara Inaugurazione: 14 Gennaio 2013 Comunicato Stampa Spazio espositivo: Grotte del Boldini 18, Ferrara – 349-7788689 – conversazionilutto@unife.it Titolo evento: “Con la terra che ho spostato per seppellire il tuo corpo, ho costruito una collina da cui contemplo il mondo”. Vernissage: 14 Gennaio 2013 Chiusura: 20 Gennaio 2013 Abstract: L’installazione fotografica di Giordano Pariti è un racconto archetipico, la narrazione di un processo psichico, l’elaborazione di un lutto che non si confronta con la perdita definitiva ma con la presenza dell’assenza. Orari: Feriali: 17.00/20.00 – Sabato e Festivi: 10.00/13.00 – 15.00/20.00 Ingresso libero Orario Vernissage: 17.00 Patrocini Università di Ferrara, Amsef, Provincia di Ferrara, Comune di Ferrara, Agire Sociale. Artista: Giordano Pariti Presentazione L’installazione artistica di Giordano Pariti è un racconto archetipico; il racconto di una perdita. E’ la perdita di un figlio vissuto una sola stagione, rievocato dai suoi calzari – quelli di una volta tagliati in cima perché in estate il piede potesse respirare. Un’unica stagione della vita, un unico paio di calzari che si muovono su terre su cui non potranno mai più lasciare impronta. Una storia privata, simile ad infinite altre e che non dovrebbe interessare il pubblico dell’arte, se non per i contenuti universali capace di veicolare una volta fattasi immagine. In questa opera scatta invece qualcosa di nuovo. Giordano Pariti non si limita ad accettare il postulato dell’espediente stilistico in cui riversare il proprio sentire per farne un sentire di tutti, ma propone qualcosa di nuovo e potente: la narrazione di un processo psichico, l’elaborazione di un lutto che non si confronta con la perdita definitiva ma con la presenza dell’assenza. Scrive Massimo Recalcati: ”l’oggetto assente è l’oggetto massimamente presente nell’affetto luttuoso, l’oggetto assente, l’oggetto morto, l’oggetto perduto è massimamente presente cioè appare, si manifesta come indimenticabile” (Recalcati M., Lavoro del lutto, melanconia e creazione artistica). Nell’elaborazione del lutto lo strazio intollerabile dell’impossibilità di dimenticare il dolore non è che l’altra faccia del bisogno quasi ossessivo che l’uomo ha di ricordare il passato e tutto ciò che è associato alla persona scomparsa – anche il suo unico e solo paio di scarpe. In realtà il dolore terribile della perdita che sembra inizialmente insopportabile è, a sua volta, una forma di difesa, perché sta al posto della perdita, riempie lo spazio affettivo di quell’assenza e consente di farci progressivamente arrivare, non a dimenticare, ma a neutralizzare l’affetto connesso a quella perdita. Il ricordo esiste ancora, ma fa sempre meno male, trasformandosi progressivamente in presenza creativa, in quella collina dove ci conduce Pariti per fornirci di uno sguardo nuovo sul mondo. L’artista riesce in questo lavoro a realizzare compiutamente il lungo e faticoso processo di elaborazione di un lutto e, contravvenendo ai presupposti della Narrative Art in voga negli anni passati, usa l’immagine fotografica come una potente lente sull’inconscio, attribuendo ad ogni immagine proposta un valore unico e insostituibile. Ogni immagine risulta così un dato esistenziale, esclusivo, irripetibile e indispensabile alla narrazione; ogni immagine crea un contatto immediato con il pubblico e lo immette in una dimensione temporale assolutamente privata, intrapsichica, dove il tempo dei fatti non corrisponde a quello delle emozioni, dove gli eventi non sono in sequenza, dove l’unica cronologia riconoscibile sono le fasi di elaborazione del dolore del lutto. E’ il tempo interiore, è il linguaggio dell’inconscio che dà immagine all’assenza dilatando a dismisura l’oggetto scelto a simbolizzare quell’assenza che acquisisce la consistenza drammatica, a tratti onirica, di una presenza imponente continua e totalizzante in un drammatico scambio di prospettiva tra l’assente (il figlio morto) e chi vive (la madre nella bara-scatola, le scarpe dentro le scarpe rosa del nuovo figlio). La scatola che conteneva le scarpe per la sepoltura diventa il monumento funebre, che da sempre racchiude nella storia dell’umanità la continuità tra la morte e la vita, tra l’assenza dell’oggetto amato e la presenza del dolore provato. In questo senso Giordano Pariti impiega l’agire artistico inteso come agire esistenziale offrendo al pubblico una chiave di lettura del processo di elaborazione del lutto non priva di un evidente valore metaforico, la metafora per cosi dire “progressiva” di un’archiviazione che tramite alcune presenze (le scarpette rosa legate da un nastro rosso che rappresentano la vita che continua, il dono di una nuova vita) ci parla in qualche modo anche del futuro, della vita che procede e persiste ad essere inestricabilmente immagine e sentimento, senza un confine preciso tra privato ed universale, tra chi non c’è e chi rimane. Rinnovare il tonfo di un vuoto per ricordare a questa società, che prende sempre più le distanze dalla morte, che una perdita, aldilà di tutti gli aspetti drammatici, rituali e collettivi, rimane un fatto intimamente personale che però non ci annienta, se da esso facciamo scaturire uno sguardo sulla vita disincantato e pulito, uno sguardo che sappia accettare l’abisso e da esso ripartire per costruire un nuovo percorso di vita. Paola Bastianoni (Docente Psicologia Dinamica – Università di Ferrara)

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