Ancora parliamo di madri, come sempre qualcosa di non visto collega fili. Niente di più centrale, cuore del concetto stesso di vita, sua definizione. La disarmante potenza di questo miracolo quotidiano, vecchio di miliardi di anni. Questa poesia, che ho regalato mille volte, sa di latte, di sole e di oscurità buona, intima, di semplice gioia vera, benedetta. Angelus novus. E così sia. “… / in questo gesto comune è la mia alleanza / posta fieno su fieno / letame dopo letame / solitudine per solitudine, / nell’amore alla vita, perché vita è l’unico supporto, / qui su questo percorso, umile gioia dei giorni.”

Poesia dolce

Due volte in vita mia

ebbi l’amore dentro il corpo,

viscerale più di qualunque altro sentimento.

L’utero accoglieva per tempo e desiderio,

ciò che più avrei curato dopo.

So per certo, non vi è quiete più giusta

di un ventre materno,

dentro infatti, vi cresce il paradiso in carne e ossa.

Ogni volta lo chiamai per nome

dopo averlo partorito

e per questo, mi era dato di piangere di contento.

Questo scrivo ed è uguale il sentimento ora

per le figlie che a lungo mi abitarono dentro.

Come un tabernacolo le ho conservate,

talmente sacra è per me la loro vita,

che non esse sono mie,

ma io appartengo a loro,

che sono il seme e il germoglio,

la gettata e la primavera

di ogni volta che mi rivolgono in viso

il loro sguardo per incontrare il mio.

[Roberta Dapunt

da La terra più del paradiso, 2008, Einaudi]

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