Nella logica delle nostre società post-mortali la morte non può che essere un deprecabile accidente che colpisce una persona sfortunata, oppure disattenta alla propria salute e a causa di propri comportamenti azzardati e deprecabili. Magari poteva correre troppo in auto e sventatamente e colpevolmente è andato a sbattere contro un platano. Oppure mangiava troppo ed era sovrappeso, mangiava poco, mangiava male, il fegato si è danneggiato, il cuore ha ceduto.

Tutta la società è impegnata in una lotta senza quartiere contro ogni morte. Enormi investimenti vengono fatti per produrre farmaci e vaccini e inventarne sempre di nuovi, per costruire veicoli con innumerevoli sistemi di sicurezza, per consigliare la dieta migliore, l’attività fisica più utile, quanto tempo stare al sole e quale crema usare, come battere l’invecchiamento in un grande sogno collettivo di immortalità.

Interessante la definizione che Céline Lafontaine dà della società odierna, da lei definita postmortale, intendendo con questo termine la perdita di quanto ci contraddistingue come esseri umani: la nostra condizione intersoggettiva conseguente alla definitiva caduta della visione comunitaria e alla vittoria di un individualismo esasperato. In questo nuovo scenario la morte è stata negata, segmentata, spezzettata fino a non farla più comprendere come evento certo ed indissolubilmente connesso alla vita. Le parole attorno

alla morte oggi vertono principalmente sulle cause di morte, non sulla morte, a testimonianza di un vissuto culturalmente condiviso di grande sconfitta: ogni persona morta reifica la sconfitta dell’intera società occidentale che non è stata in grado di evitarla perché la morte ormai è sempre evitabile. Non è più sufficiente dire che una persona è morta, dobbiamo sempre sapere di cosa è morta, perché è morta, dove eventualmente si è sbagliato per non essere riusciti a tenerla ancora in vita. La morte naturale, la morte di vecchiaia, ormai non è più accettabile, non si può più dire è morto e basta oppure è morto perché vecchio, era arrivata la sua ora.

Allora la morte di un attore e regista, Libero De Rienzo, alla giovane età di 44 anni scatena nei media la necessità di sapere, di venire a conoscenza, di capire di che cosa è morto quest’uomo di 44 anni? Di chi è la colpa di questa morte? Sua, dei suoi medici, del sistema che non è stato in grado di proteggerlo a sufficienza? Sul tavolo è stata trovata una polvere bianca! I titoli sui giornali attirano la curiosità morbosa dei lettori e aleggia un terribile dubbio: si drogava? Allora è sua la colpa della propria morte! Poi la notizia viene smentita. Martedì verrà svolta l’autopsia e si attende, come se un suo film fosse stato presentato a Cannes, l’esito. Finalmente sapremo di cosa è morto Libero De Rienzo.

Tutto questo sulla testa della moglie che piange il giovane marito non più con lei. Tutto questo disinteressati al dolore se non per il tempo di un notiziario della sera. Ancora una volta per nascondere la realtà della morte che fa parte indissolubile della vita umana, e non una polvere più o meno bianca da nascondere sotto il tappeto.   

(Nei riquadri alcuni commenti dalle innumerevoli discussioni nate su Twitter)