Andrea Canevaro, pedagogista, professore emerito dell’Università di Bologna

Siamo un gruppo di adulti con responsabilità educative. Siamo in Bosnia, dove la guerra formalmente è finita, ma le sue tracce sono profonde nelle persone e nelle cose. Lasciamo la parola a uno di loro: Un impianto idrico che comprende il deposito, la distribuzione e i rubinetti. Questo titolo, può sembrare solo bizzarro. Fa riferimento a un incontro avuto alla scuola di Simin Han. Simin-Han è una località vicino a Tuzla, molto distrutta dalla guerra ma non tanto da non rappresentare un porto di accoglienza per tanta popolazione venuta da zone più distrutte e più colpite come ad esempio Sebrenisza. Siamo dunque in Bosnia, e la scuola di Simin-Han, che prima della guerra accoglieva trecento bambini. accoglie nel 1997 circa mille trecento bambini e bambine, Il gruppo di insegnanti, con il suo Direttore, lavora seriamente innovando e costruendo occasioni di lavoro per i bambini e le bambine in modo tale da non far vincere in loro l’invasione della sofferenza. I laboratori didattici permettono di ravvicinare la positività di una vita che cresce: cresce negli animali, nel fion’. e quindi diventa anche i saperi della scuola. A Simin-Han tutto è laboratorio. Anche la manutenzione della scuola può diventare un compito che riaccende la capacità di vivere, di aprirsi al futuro. Partecipo ad una riunione con gli insegnanti e sento che vi è il problema dell’acqua. In particolare, nel discorso, ogni tanto appare che vi è il problema dei gabinetti che non hanno un impianto per lo scarico – o meglio l’hanno ma è rotto -. Il problema dell’acqua mi interessa, con l’idea, ingenua, che potrebbe costituire un cantiere di lavoro estivo per volontari – nella migliore tradizione degli aiuti umanitari -. Per questo torno sul problema dell’acqua e chiedo al Direttore di spiegarne meglio la consistenza. Il Direttore mi spiega che come per tante abitazioni della regione della città di ‘I’uzla, l’acqua è soprattutto un problema nelle stagioni di consumo maggiore, perché l’acquedotto è stato colpito e vi sono distribuzioni ad orario – a volte vi sono giornate in cui non arriva l’acqua. Però mi spiega che la scuola ha già un deposito e quindi potrebbe essere attrezzata per conservare l’acqua e poi farne un uso giusto secondo i bisogni; ma gli scarichi dei gabinetti sono guasti e, se aprissero la distribuzione dal deposito alla rete della scuola, in poco tempo perderebbero quanto hanno potuto accumulare. Stanno però affrontando anche questo e pensano di lavorare insieme per aggiustare gli scarichi e per avere dei rubinetti in ordine, tali da potere governare il deposito di acqua secondo le esigenze e non perderlo. Questa conversazione ha ridestato in me il ricordo di qualcosa che avevo sentito raccontare a proposito dell’ultimo periodo di vita di Piaget, quando l’anziano psicologo cercava di ragionare con i bambini e le bambine per capire come loro potessero concettualizzare il fenomeno di feedback. Il feedback è una retroazione che permette, dato un certo accumulo, di fare scattare un meccanismo che disponga dell’accumulo in termini tali da riattivare l’accumulazione. E, da come lo ha descritto, si può capire come Piaget avesse individuato proprio nello scarico del gabinetto l’esempio pratico in cui bambini e bambine costruivano la concettualizzazione del feedback e la potevano rappresentare. La rappresentazione del feedback era presente nella vita di quei bambini e di quelle bambine con l’osservazione del funzionamento di uno scarico del gabinetto. Questo collegamento mi ha fatto intervenire quel giorno, nella scuola di Simin-Han, per ricordare quanto importante fosse quello che stavano facendo in rapporto proprio all’apprendimento. Non svela a loro nulla: era già molto chiaro a loro che stavano operando concretamente in qualcosa che aveva anche un alto valore simbolico. Ho rintracciato in Vygotskij uno studio che ancora si collega all’impianto idrico con deposito e con rubinetti e scarichi, governati da feedback. Vygotskij, trattando del linguaggio, parla proprio di un’accumulazione di elementi, e di conoscenze che attraverso il linguaggio possono attivarsi, senza per questo scaricarsi, ma consentono il riaccumulo nel deposito. Questo significa avere un deposito, avere la possibilità di accumulare. Molte volte nelle relazioni di aiuto il deposito non c’è, gli scarichi sono rotti, i rubinetti non chiudono, e l’aiuto arriva e si disperde: deve continuare ad arrivare perché non può essere depositato e accumulato. Si potrebbe dire che non c’è apprendimento, ed è probabile che si possa interpretare la relazione di aiuto che ha all’origine un intervento traumatico come la perdita di capacità di deposito. Il trauma è una invasione di sofferenza tale da non consentire più spazio per nuovi ingressi. Non sembra più possibile accogliere ed accumulare nuovi elementi; gli aiuti giungono ma scorrono, sono necessari ma scappano via, non vengono assorbiti, non c’è la spugnosità per assorbirli e trattenerli, e riorganizzarli in una operazione di deposito e di feedback. Nella relazione di aiuto è quindi necessario dare una grande rilevanza all’organizzazione che permetta di avere un impianto con deposito e un meccanismo di feedback. In Vygotskij un ruolo fondamentale ha l’apprendimento. Vygotskij parla di ruolo direttivo dell’apprendimento nello sviluppo. Quindi possiamo leggere una citazione da questo Autore, riferendola, senza tradirla, proprio alla relazione d’aiuto: “[… ] L’aumento progressivo di livelli elevati nel pensiero scientifico e la crescita rapida nel pensiero quotidiano, attestano che l’accumulo delle conoscenze porta immancabilmente ad un livello più elevato di tipi di pensiero scientifico, che a sua volta influenza lo sviluppo del pensiero spontaneo e porta alla tesi del ruolo direttivo dell’apprendimento nello sviluppo dello scolaro” (L. Vygotskij, 1990, p.203)1. Lo sviluppo deriva da una possibilità di accumulo e il migliore sviluppo mette in collegamento – come in un impianto idrico – diversi livelli di prestazioni di pensiero, il tipo scientifico e il pensiero di carattere quotidiano, quello che Vygotskij chiama spontaneo. E’ veramente un sistema di vasi comunicanti in cui la preoccupazione dovrebbe essere quella di consentire l’accumulo. Importanza dell’accumulo, si potrebbe dire. Nelle relazioni di aiuto una delle questioni più difficili è rappresentata proprio dall’accumulo, in termini anche molto pratici: lo stoccaggio delle risorse che arrivano nelle azioni umanitarie è spesse volte un problema non affrontato, per cui abiti, alimenti, medicine, vengono depositati in modo tale che l’unica operazione possibile – nel tempo – è quella di disfarsene, eliminarli, per evitare rischi maggiori. cioè usi impropri e pericolosi – di cibi avariati, di medicine scadute, di abiti che possono procurare malattie -. E vi è anche la difficoltà, in situazioni che certamente non sono più governate dall’ordinaria amministrazione, di smaltire rifiuti, a volte tossici. La difficoltà di acculare è quindi, non solo simbolica e mentale ma anche reale, concreta, ed è uno dei tormenti maggiori di chi ha bisogno di essere aiutato. E’ sicuramente dotato di buone riserve organizzate chi sta bene. Non ha possibilità di conservazione – di qualità – chi ha poche risorse, e conserva il cibo in condizioni che contengono i rischi di un consumo difettoso e quindi con qualche problema in più. Gli esempi possono essere tanti e moltiplicati ancora, ma per la nostra riflessione è forse sufficiente capire come si colleghino degli elementi reali aelementi di grande importanza simbolica. Va detto, sia pure tra parentesi, che il termine accumulo può costituire, per la generosità delle azioni umanitarie, un elemento di contrasto e di contraddizione. E’ possibile che gli attori, gli agenti, dell’organizzazione umanitaria non siano tanto felici di incontrare un termine caro alle logiche di capitale. Si accumulano i capitali. La spinta solidale vorrebbe non incontrare questa parola. Per l’ennesima volta ci imbattiamo nella necessità di scoprire che una parola ha significati diversi, e se l’accumulo può essere sottrarre ad altri, accumulo può anche essere possibilità che ciascuno organizzi una propria vita secondo un apprendimento che non si consuma secondo dei processi vitali. Lo stesso organismo ha bisogno di utilizzare l’accumulazione. Può soffocare di accumulazione ma può anche rischiare molto senza accumulare. L’organismo umano teme l’accumulo quando vive dei periodi di anoressia, e, a volte, nell’anoressia vi è una agitazione, un consumo energetico dettato dall’impellente imperativo di non accumulare, quel poco che si incorpora deve essere subito consumato, nulla va accumulato. Ma l’anoressia è uno stato dannoso, l’accumulo è necessario, è positivo, e cosi nell’apprendimento, e cosi nelle relazioni di aiuto. Le relazioni di aiuto devono sviluppare una possibilità di ricostruzione dei depositi, di ricostruzione di una rete distributiva, di utilizzo di scarichi che non prosciughino il deposito, di rubinetti che funzionino e possano essere aperti e chiusi. Questa immagine, nata in un contesto reale e concreto, può dunque servire anche come metafora dell’agire e dell’agire in relazioni di aiuto.

1 L. Vycotskij, Pensiero e linguaggio, a cura di L. Mecacci, Laterza, Bari, 1990; ediz. originale 1934.

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