La parola Mapu vuol dire Terra, mentre Che significa gente o, più nello specifico, popolo; Mapudungun è la lingua. Il termine Wallmapu indica il territorio ancestrale, che comprende due entità separate dalla catena andina (Pire Mapu): il Gulu Mapu è il territorio cileno, mentre il Puel Mapu rappresenta la parte argentina. Pare rilevante approfondire il concetto di Che, in quanto presenta diverse sfumature di significato. Spesso sta ad indicare la persona nella sua complessità, che va dalla struttura biologica al funzionamento fisico, o al dato psicologico; ma può giungere fino alla dimensione spirituale e al legame familiare. Il Che, infatti, fa parte di un’unità (Furen) che simboleggia la famiglia nucleare, mentre il concetto di famiglia allargata di valenza comunitaria viene esplicato con Reyñma. La comunità in senso lato trova la sua definizione in Lof, al suo interno le diverse famiglie (Füren) traggono il nome dalla peculiarità del luogo e dalle forze che lo connotano, ad esempio piante benefiche e spiriti protettori. In ogni Lof emergono soggetti che evidenziano qualità specifiche, in relazione alla discendenza: abilità nel combattimento, nelle pratiche mediche o di insegnamento. Non a caso le diverse comunità non si qualificano solo per l’origine geografica (Tuwn) ma anche per il Kupalme, il lignaggio o il sangue. Il lonko è il capo comunità e, di norma, si tratta di un ruolo ereditario; mentre il ruolo di machi, di solito esercitato da donne, dipende dalla conoscenza e deve essere in grado di prendersi cura della salute comune. Esso, perciò, implica il sapere relativo alle proprietà medicinali delle piante, ma anche quello relativo all’ermeneutica dei segni che vengono espressi dal mondo naturale nel suo insieme. Un’ulteriore figura di rilievo è il Werken, il portavoce di quanto viene discusso e deciso nell’assemblea della comunità[1].

Com’è ovvio nella vita culturale del popolo Mapuche vi sono cerimonie importanti: il ñguillatύn, ad esempio, è il più significativo rito propiziatorio, mentre il Wiñoy Tripantu è del massimo rilievo in quanto indica il rinascere dell’anno e cade il 24 giugno. Si devono considerare forme culturali a pieno titolo le attività lavorative che hanno una solida tradizione, come la falegnameria, la tessitura, l’incisione dell’argento, ma anche lo sport più diffuso e popolare: il palín che ricorda molto da vicino l’hockey. Un significato, e un valore, culturale da non trascurare è la bandiera del popolo (cultrun) composta da tre strisce. La celeste ricorda l’infinito, e con esso la speranza, la verde è l’emblema della natura, che rende possibile la vita di tutti gli esseri, mentre la rossa vuole rendere omaggio al sangue versato per la difesa della propria terra. Al centro vi è un complesso insieme di simboli in forma circolare: si raffigurano gli strumenti sacri della pratica medica, i punti cardinali, le stagioni, il sapere astronomico, la fertilità femminile, la virilità guerriera, lo scorrere vitale del tempo. 

Un differente visione della morte

La morte è argomento che il mondo occidentale ha tentato di occultare, quanto più siamo entrati nella prospettiva della globalizzazione, specialmente agli occhi dei giovani, che devono essere consumatori tranquilli e omogenei di “beni” spersonalizzati e pianificati. Il morire è questione che riguarda i vecchi e i poveri, quindi, non può interferire con l’esistenza di chi è giovane e benestante. Nella cultura mapuche, al contrario, data la rilevanza più volte indicata del rapporto uomo-natura, la vita è una costante preparazione alla morte, intesa come viaggio verso una dimensione superiore. I loro cimiteri, nell’Araucanía, mettono in evidenza il contrasto tra ciò che è terreno e il trascendente con accenti diversi: “Forme che rendono conto dei concetti di vanità, riposo, riparo, rifugio, tra gli altri, con uno scopo unico: comunicare più sulla vita che sulla morte”[2]. Del resto, le due fasi connotano l’identità del soggetto che ha sempre presente negli atti della vita quotidiana la dimensione del sacro, poiché la stessa società è coinvolta in una moralità religiosa che comprende sia i vivi che i morti.

Per orientare il discorso dobbiamo introdurre il concetto di rehue, vera a propria sintesi dell’universo mapuche. Si tratta di un tronco con scalini diagonali posto davanti all’abitazione della machi, autorità religiosa che già conosciamo: “Il Rehue è il ponte di connessione del mondo naturale con il mondo soprannaturale, la Machi nell’entrare in trance vi sale sopra e si eleva, letteralmente verso il mondo del Wenu-Mapu (Terra di sopra). I Rehue, alla loro base, raccolgono rimedi medici, piante, argenteria, monete, semi e alimenti”[3]. In questa descrizione cogliamo una coerenza epistemologica chiara, un’ermeneutica che sa connettere con simboli efficaci natura e sopra-natura: qui il sapere non è baconianamente potere e l’universo non è scritto in lingua matematica, secondo la metafora galileiana, eppure ha una sua dignità di rappresentazione del mondo. Non vi è un sapere superiore ed uno inferiore, ma due diversi modi di osservare e interpretare l’universo che ci circonda. Così, nella logica della sepoltura, i Mapuches orientano il corpo del defunto verso est, mentre i presenti si muovono in circolo per spaventare gli spiriti malvagi: da est a nord, poi ovest e sud. Ma vi è una logica anche nei colori in relazione alle quattro situazioni: la più alta, del bene, è simboleggiata dal bianco e dall’azzurro; al di sotto, una situazione transitoria, è rappresentata dal rosso; poi il contesto terrestre contrassegnato da varie sfumature; infine, l’abisso sotterraneo, infernale, contraddistinto dal colore nero. La simbologia cromatica è molto importante soprattutto nei capi di vestiario femminili e nelle cinture composte di differenti colori intrecciati; ancor più essa diventa simbolo potente quando si pensi al verde che è immagine della natura, o al rosso simbolo del sangue e della guerra, oppure al nero segno degli spiriti del male: “Ognuna di queste concezioni e forme del comprendere il mondo sono interrelazionate, implicando l’integrazione delle regioni cosmiche, punti cardinali, astri e regioni terrestri, i quali si relazionano simbolicamente attraverso il colore e le sue connotazioni estetiche con la coppia e di opposizione basilare tra bene e male”[4]. La struttura, anche in questo caso, ha basi epistemologiche solide che possono essere messe a confronto con visioni occidentali dell’universo di ieri e di oggi. La morte, si è detto, è un viaggio dalla dimensione terrestre ad una di transizione, fino al funerale, e poi fino al definitivo stato del “bene” dove vi sono gli antenati e le divinità, oppure vi è la discesa alla dimensione infernale. Il defunto, in ogni caso, affronta una nuova vita, mantenendo le caratteristiche che lo hanno visto attivo su questa terra, ma confidando nell’immortalità dell’anima in una condizione di trascendenza. Ciò che appare strano ai nostri occhi è il mantenimento del rango socioeconomico anche nell’al di là, mentre è singolare l’usanza arcaica di consigliare ai moribondi le attenzioni da tenere quando iniziano il viaggio dell’oltre vita. Dice un padre al figlio in morente: “… quando arrivi dall’altra parte del mare, semina molte fave, grano e tanti legumi, fai una casa grande adatta per starci tutti, poiché tua madre ed io siamo già più morti che vivi”[5]. Rimane forte la fiducia in una continuità, che dipende dal solido intreccio della loro esistenza con il mondo naturale, il quale genera vita e speranza di un al di là che è sì sconosciuto, ma genera una curiosità intensa, quasi infantile.

La tradizione arcaica prevedeva un lungo tempo tra la morte e la sepoltura, tanto che il cadavere veniva ricoperto di sale per facilitarne la conservazione; l’usanza aveva lo scopo di attendere il tempo migliore dei raccolti (a volte più di tre mesi), poiché il funerale è l’occasione di un pranzo con molti invitati non solo della comunità di appartenenza del defunto, ma anche di altre con cui si intrattengono relazioni di varia natura. La sepoltura in profondità inizia ad essere praticata solo dopo il contatto con i missionari spagnoli, in precedenza i corpi venivano ricoperti solo con una montagnola di pietre e terra e portavano, come simbolo antropomorfo, un palo intagliato in modo grossolano. Diverso, e interessante, il simbolo del Kuel, una montagnola artificiale con un diametro tra gli 8 e i 40 metri e un’altezza tra i 2 e i 15, che veniva spesso risistemata negli anni. L’aspetto affascinante è la collocazione che si può ritenere a pieno titolo strategica: è il panorama che deve rendere onore ai defunti, e non solo come sfondo ma anche per ciò che vi sta davanti, dalla parte dell’osservatore, quindi. Il Kuel, con lo scorrere del tempo, è diventato pure luogo di cerimonie, tenendo conto di una interpretazione in cui si sostiene che questi luoghi sarebbero serviti alle machis per retro-alimentare la relazione tra gli ancestri e la popolazione viva, accostandola ai suoi antenati grazie al contatto che avvicina al cielo, come si percepisce dall’altezza delle colline[6]. È nostra convinzione che tale tradizionale visione della relazione vita-morte, naturale-soprannaturale, materia-spirito, sia di profondo significato educativo per i bambini e gli adolescenti, ponendoli a contatto con il valore degli affetti, del ricordo di persone care, ma anche di un’etica dove i comportamenti non sono casuali o banali e, forse, il funerale è il contesto in cui si impara a convivere con situazioni e contatti intersoggettivi che è bene sperimentare. Restare prigionieri in un limbo fatto di tecnologie esaltanti l’ego pseudo-autosufficiente, con la complicità di genitori che pensano di poter cancellare il dolore dalla vita dei figli, è segno di un tempo che si è impoverito sul terreno di ciò che è genuinamente umano ed ha la presunzione di abbellire l’esistenza negandone, con il virtuale narcisistico, l’essenza ontologica. La tridimensionalità del cosmo mapuche, ad un primo sguardo, assomiglia a quella occidentale premoderna: il cielo (Wenu-Mapu), la terra Nag-Mapu) e il mondo sotterraneo, nascosto (Minche-Mapu). La differenza sostanziale sta nella prospettiva energetica: il cielo è ad alta densità energetica positiva. Nella visione ancestrale mapuche, inoltre, compare una nozione poco nota alla maggioranza, Mallew-Mapu, che dovrebbe rappresentare il luogo dove convivono le entità energetiche allo stato puro: “e dovrebbe essere quella dimensione molto particolare che i Mapuches definiscono come più verde, è più pulita, è più brillante, è incontaminata, è infine di una brillantezza speciale. Per analogia, possiamo dedurre che è come un pianeta terra speciale, collocato in una dimensione diversa dalla naturale, ed è dove vanno a vivere le persone mapuche dopo la morte”[7]. A parte la coinvolgente immagine del “paradiso” come mondo incontaminato e armonico, sarebbe interessante riflettere sul concetto di energia mapuche e confrontarlo con quello della nostra scienza fisica, senza pregiudizi. 

Conclusione

La fisica occidentale ha operato sul mondo naturale in maniera massiccia, con nozioni scientifiche molto precise ed una epistemologia impeccabile, eppure non esaurisce il significato della verità, ne propone una che è relativa al proprio contesto. I Mapuches vedono nell’energia positiva una potenza ecologica che trascende il mondo dei viventi e cerca di imprimergli tracce di qualità superiore, ma sono consapevoli dei rischi connessi alle energie negative. Si potrebbe imparare molto dal dialogo tra culture organizzato con una buona didattica a livello scolastico, ovviamente senza discriminazioni o presunzioni di superiorità.

Anita Gramigna


[1] Per i riferimenti terminologici si veda: L. Ray, La lingua della terra, BFS Edizioni, Pisa, 2007.

[2] C. Rodríguez, A. Saavedra, Cosmovisión  Mapuche y emanifestaciones funerarias, Si Somos Americanos: Revista Estrudios Transfronterizos, vol. XI, n. 2, 2011, p. 13.

[3] J. Ñanculef, Cosmovisión Mapuche, Ponencia presentada en las II Jornadas de Patrimonio Cultural de la Araucanía, Victoria, Cile, 2006, p. 3.

[4] C. Rodríguez, A. Saavedra, Cosmovisión  Mapuche…, op. cit., p. 19.

[5] H. Zapater,  Aborígenes chilenos a través de cronistas y viajeros. Editorial Andrés Bello, Santiago, 1978, pp. 68-69.

[6] Cfr.T.Dillehay,J. Saavedra, “Interacción Humana y Ambiente: el desarrollo del Kuel en PurénLumaco.” Revista Austral de Ciencias Sociales 7, 2003, pp. 17-28. 

[7] J. Ñanculef, Cosmovisión y religiosidad…, op. cit., p. 20.

Tags: