La paura di ammalarsi è una delle paure più forti nei bambini dai 6 anni d’età, sostituita, più avanti, dalla paura di morire o di subire una menomazione, perché la malattia è accompagnata, sempre e comunque, da emozioni negative: tristezza, stanchezza e delusione lasciano pochissimo tempo al benessere e al divertimento. Secondo lo studioso Donald Winnicott, pediatra e psicoanalista, il bambino deve essere posto in modo graduale di fronte alla realtà della malattia, che rappresenta per lui una reale minaccia verso la quale si sente indifeso. Anche coloro che hanno il compito di definire la diagnosi e chiarire i vari ambiti terapeutici e prognostici, a volte, possono trovarsi in difficoltà ad affrontare le proprie ansie ed emozioni profonde, non sempre consapevoli o riconoscibili. Il momento della comunicazione della diagnosi, quindi, si configura molto delicato, soprattutto in ambito pediatrico, ove, quasi sempre, il rapporto con il piccolo paziente è mediato dai genitori e i sentimenti e le emozioni che a lui appartengono sembrano difficilmente accessibili. Questa situazione è spesso caratterizzata da una regressione del bambino e dei genitori, in particolar modo della madre, in un rapporto simbiotico e di disinvestimento verso tutto ciò che ne è esterno. Le condizioni dell’ospedalizzazione, le procedure diagnostiche, la terapia, il dolore fisico ed emotivo portano il bambino a ricercare protezione e vicinanza nel caregiver, instaurando con lui un attaccamento di dipendenza e a manifestare comportamenti regressivi, quali: il rifiuto del cibo, la perdita del controllo sfinterico, il bisogno di essere lavato, vestito, imboccato. Il ricovero ospedaliero corrisponde per ognuno, e in particolare per un bambino, ad un’esperienza di rottura della continuità della vita quotidiana con conseguenze negative, a volte anche gravi, sui legami affettivi familiari e amicali.  Le risposte psicologiche dei bambini all’ospedalizzazione rappresentano una complessa sintesi cui contribuiscono, in vario grado, fattori cognitivi, biologici ed ecologici. Esse possono modificarsi e differenziarsi sotto l’influenza delle nuove acquisizioni evolutive, risultato di cambiamenti emozionali e cognitivi che intervengono con la crescita del bambino. Già dalla metà dell’800, sono apparse nella letteratura relazioni sulle risposte psicologiche negative all’ospedalizzazione, ma i lavori fondamentali, come quello dello psicoanalista René Spitz, hanno avuto rilievo solo nell’ultima parte del ‘900. Dalla metà degli anni ’60 l’impatto dell’ospedalizzazione sulla psicologia del bambino diventò un obiettivo della sanità pubblica. Disturbi del sonno, dell’alimentazione, della socializzazione assieme alla paura della morte e all’ansia generalizzata sono facilmente riscontrabili nei bambini ospedalizzati ed è attraverso la realizzazione di interventi adeguati volti a promuovere un adattamento psicologico positivo, che i genitori, gli operatori sanitari, gli educatori e i volontari possono migliorare la qualità di vita dei bambini e delle loro famiglie.

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