I riti che seguono la morte del principe devono rappresentare la piramide sociale che governa il mondo. In alto, nello stretto vertice, l’élite. La larga base della piramide rappresenta la moltitudine del popolino. Ma se riusciamo a oltrepassare la rappresentazione sociale del potere ritroviamo non più i PERSONAGGI, ma PERSONE.
Con grande sensibilità Tomasi di Lampedusa ci racconta della morte di Don Fabrizio, protagonista del suo Il Gattopardo
«Cercò un posto dove poter sedere tranquillo, lontano dagli uomini. Lo trovò presto: la biblioteca piccola, silenziosa, illuminata e vuota. Si mise a guardare un quadro che gli stava di fronte: era una buona copia della Morte del giusto di Greuze. Il vegliardo stava spirando nel suo letto, tra sbuffi di biancheria pulitissima, circondato dai nipoti afflitti e da nipotine che levavano le braccia verso il soffitto. Le ragazze erano carine, procaci, il disordine delle loro vesti suggeriva più il libertinaggio che il dolore […]. Subito dopo chiese a se stesso se la propria morte sarebbe stata simile a quella: probabilmente sì, a parte che la biancheria sarebbe stata meno impeccabile […] e che era da sperare che Concetta, Carolina e le altre sarebbero state più decentemente vestite. Ma, in complesso, lo stesso» (G. Tomasi di Lampedusa, Il Gattopardo, Feltrinelli, Milano, 2005,p. 202-203)
“Lontano da Donnafugata, impossibilitato a raggiungere la«casa di mare», Don Fabrizio muore in uno spazio estraneo e degradato – l’albergo Trinacria – per molti aspetti simile alla stanza di un ospedale che la società borghese del secondo Ottocento aveva eletto a scenario della morte del “povero”, e come essa inospitale; muore, dunque, spossessato di tutto, perché di suo «non aveva adesso che questo corpo sfinito»” (Mariella Muscariello, La morte di Don Fabrizio. Analisi della parte VII del Gattopardo, Gli Scrittori d’Italia – XI Congresso Nazionale dell’ADI)
Prima della grande cerimonia del funerale del Principe Filippo duca di Edimburgo, marito della regina Elisabetta, ritroviamo succinte cronache delle umane vicende dei reali.
«Stando a quanto riportano i giornali inglesi, “Filippo non voleva morire in ospedale. E anche la regina si è opposta a un suo nuovo ricovero”. Il duca di Edimburgo ha trascorso i suoi ultimi giorni nel castello di Windosr. Nella notte di giovedì, secondo il Daily Telegraph, le condizioni di salute del principe Filippo si sono aggravate. Alla regina è stato consigliato un nuovo ricovero in ospedale ma la sovrana si è opposta e ha preferito far trascorrere in casa le ultime ore di vita all’amato marito, sottoposto nelle scorse settimane a una delicata operazione al cuore. Una decisione che anche lo stesso Filippo aveva fatto presente subito dopo la sua ultima permanenza in ospedale: “Voglio morire in casa, non nel letto di una clinica”. Nei suoi ultimi giorni, sarebbe riuscito a salutare di persona tutti i suoi figli, Carlo, Anna, Andrea ed Edoardo. Nipoti e pronipoti, tra cui William (che lo ha sentito al telefono), non sono riusciti a vedere per l’ultima volta il nonno » (https://www.ilriformista.it/fatemi-morire-a-casa-gli-ultimi-giorni-di-vita-di-filippo-e-il-saluto-della-regina-e-stato-la-mia-forza-210005/?refresh_ce)
Allora sentiamo più vicine quelle disincantate parole del principe Antonio De Curtis
“Tu qua’ Natale…Pasca e Ppifania!!!
T”o vvuo’ mettere ‘ncapo…’int’a cervella
che staje malato ancora e’ fantasia?…
‘A morte ‘o ssaje ched”e?…è una livella.
‘Nu rre,’nu maggistrato,’nu grand’ommo,
trasenno stu canciello ha fatt’o punto
c’ha perzo tutto,’a vita e pure ‘o nomme:
tu nu t’hè fatto ancora chistu cunto?
Perciò,stamme a ssenti…nun fa”o restivo,
suppuorteme vicino-che te ‘mporta?
Sti ppagliacciate ‘e ffanno sulo ‘e vive:
nuje simmo serie…appartenimmo à morte!”