In questo periodo di scelte coraggiose per alcuni: medici, infermieri e OSS è importante narrare del coraggio che a tutti è richiesto. E’ ciò che emerge nella storia di Gino Rigoldi, il cappellano del carcere minorile Beccaria di Milano. Di recente ha istituito un centro di accoglienza per detenuti condannati agli arresti domiciliari. Non si tratta solo di un gesto di carità cristiana. Ci sono persone che vivono costantemente ai margini della società, lo facevano anche prima della crisi. Ma ora è ancora più difficile per loro risollevarsi. Perché la pandemia ha creato nuove categorie di invisibili, confini ancora più invalicabili intorno a chi cercava già con fatica di risalire la china. L’esempio di Don Gino ci ricorda che fare comunità si può, anche quando questo significa superare le diversità, o per meglio dire le presunte diversità. Perché, forse, a questa crisi dobbiamo riconoscere un merito: quello di averci dimostrato che di fronte alla povertà, alla morte e alla solitudine siamo davvero tutti uguali.

Monica Betti

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