Yasmina Reza, con il suo ultimo romanzo “Serge”, ci presenta la famiglia Popper, di origini ebraiche, e le complesse e conflittuali dinamiche tra i tre fratelli: Serge, scorretto e cialtrone, padre di Jo,   il narratore Jean, cresciuto all’ombra del fratello e Nana, che potremmo definire moralista e petulante, l’unica ad essersi costruita una relazione stabile, con due figli . La trama dissacrante del romanzo si aggira intorno alle domande: come ci si prepara alla morte? come gli uomini vivono il tempo dalla nascita alla morte? e ha il suo apice nella resa dei conti che avverrà nel corso di una visita ad Auschwitz, proposta da Jo per ritrovare le radici della famiglia ungherese della nonna, deportata nei campi di sterminio. Più che di una visita potremmo parlare di gita tra orde di «gente in tenuta semibalneare, canottiere, sneakers colorate, pantaloncini, tutine, abitini a fiori».  La scrittrice, senza alcuna mediazione, ci mostra in forma spietata, irrispettosa, disincantata e soprattutto ironica e apocalittica un mondo del quale facciamo tutti parte. La famiglia Popper siamo noi mentre ci affanniamo, per dirla con Jean “a trovare un ordine nel disordine della vita, ad allontanare il pensiero azzerante che siamo poco più di nulla, intanto che invecchiando ci costruiamo una rigida corazza o ci votiamo al melodramma”.

Quali sentimenti abitano i protagonisti ad Auschwitz e a Birkenau? Pur non essendone ancora consapevole, Jo comincia a intuire che si può crescere senza ricordi e aneddoti, ma non senza la memoria di chi non è più. Jo è emozionata, ha studiato quello che è accaduto nei campi di concentramento, lo ha fatto proprio, ma, perché diventi propria memoria, deve toccare con mano e visitare il posto. Spiega i vari luoghi, i loro significati, cosa accadeva dentro a certe capanne e casupole, non ha paura di sfidare i forni crematori e le stanze dove i cadaveri venivano spogliati anche degli ultimi capelli e dei denti d’oro. Jo vuole mettersi alla prova, capire e crescere, anche cercando i nomi dei famigliari della nonna. Non troverà i nomi della famiglia, ma poco importa, ormai: l’esperienza degli eventi non è più solo studiata, ma è vissuta, quindi può finalmente diventare memoria. Tutto questo non accade a Serge, il quale, invece, non visita neanche un luogo interno ai campi di sterminio, preferisce rimanere all’aperto e parlare con Jean. Questi desidererebbe seguire la sorella e la nipote, ma non può lasciare che il fratello maggiore rimanga solo. A volte si trova a fare la spola tra le due donne, perché donne adulte sono, e Serge, capriccioso e perennemente contrariato, come il “servitor di due padroni”, istanza tanto cara a Freud. Non ascolta quanto gli dice la figlia, i racconti sullo sterminio degli Ebrei, anche parenti loro, sull’importanza di certi luoghi dove si sono consumate violenze, assassini e morte, l’importanza di ricercare le origini, le radici dei famigliari della nonna morta da poco. Al rientro dalla Polonia, i tre fratelli non si incontreranno più per un breve periodo, occupandosi, o fingendo di farlo, dei propri figli. Solo l’attesa della conferma di una grave malattia di Serge li riunirà.  

Reza Y. “Serge”, ed. Adelphi, Milano, 2022                 

Ilaria Bignotti, psicologa

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