“I fatti di Bruxelles non possono uccidere il diritto alla speranza dei bambini e di noi che li cresciamo. Per questo non Dobbiamo cedere alla tentazione di trasmettere loro l’idea che il mondo è pericoloso e il futuro ci fa paura”.

I fatti di Bruxelles ci lasciano senza parole, ancora una volta ci portano a vivere un processo di traumatizzazione collettiva. E’ questa traumatizzazione che produce un impatto sui nostri bambini, sui nostri ragazzi. Questi eventi che tanto spaventano i loro adulti di riferimento rischiano far maturare in loro false credenze che possono limitare la loro fiducia negli altri e il loro desiderio di esplorazione del mondo.”I bambini , non riescono a utilizzare il criterio della localizzazione geografica e a comprendere le distanze. E’ importante aiutare i più piccoli ad osservare come e perchè, anche dopo fatti cosi’ tragici, la loro comunità continui a rappresentare un luogo sicuro per la loro crescita, aiutandoli a stare in un principio di realtà che non soccombe alla strategia della paura, quella paura che gli stessi terroristi vorrebbero diffondere a macchia d’olio nel mondo”.

E’ bene spiegare ai nostri minori che  tutte le persone che appartengono alla razza, alla religione, o alla nazione dei terroristi  non possono e non devono essere considerate persone pericolose. E’ questo l’obiettivo a cui mirano molti progetti di promozione dell’integrazione e dell’interculturalità.

“Purtroppo la stessa globalizzazione che porta nelle case di tutti le immagini delle tragedie e delle stragi, porta anche immagini, parole e manifestazioni di potente odio xenofobo e razziale, spesso “predicato e agito” da soggetti molto in vista all’ interno della comunità politica e culturale di riferimento. Gli adulti hanno la responsabilità di proporre ai minori la migliore visione del mondo possibile, non basta su un’ingenua accettazione di tutto, bensi’ fondata su una concezione dell’ uomo orientata alla dignità, alla promozione della vita e della persona, senza differenze di etnia, religione, orientamento sessuale, nazione di provenienza. Ogni cosa sbagliata che viene fatta è da condannare e perseguire, ma chi sbaglia è sempre il soggetto che si rende resaponsabile del proprio reato, mai il credo, la nazione, la fede per cui dice di fare le cose. Questo principio è alla base della democrazia, del rispetto tra le persone, della convivenza civile tra popoli e nazioni e questo principio deve essere alla base di ogni intervento educativo di cui ci facciamo portatori”.

Tuteliamo assieme il diritto alla speranza per i nostri minori.

da un articolo di Alberto Pellai su Famiglia Cristiana, 23/03/2016  (leggi l’articolo completo)

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