Sono passati più di settant’anni dalla pubblicazione di questa poesia che fotografa una dissoluzione che definirei filosofica, esistenziale, forse il cuore della modernità occidentale. La consapevolezza è piena ma non riesce a prefigurare quel che verrà nel nostro presente. Resta, in questo smarrimento di ogni riferimento “forte”, sia esso religioso o politico, una dignità, una resa invincibile: il mozzo della nave ingovernata affonda con essa in piedi sulla tolda, come se fosse un Capitano. Si fa scudo delle scintille di trascendenza (o di immanenza) che è ancora capace di riconoscere, si aggrappa a fili invisibili (dopo aver rinunciato all’invisibile), si abbevera alle ultime gocce di logos, ormai rugiada. Un signor fiammifero nel tempo delle nostre notti. Resta da stabilire se questa fierezza di essere smarriti non sia stata solo una favola bella con cui, alla fin fine, da soli ci siamo buggerati (la cipria nello specchietto?).

Piccolo testamento

Questo che a notte balugina
nella calotta del mio pensiero,
traccia madreperlacea di lumaca
o smeriglio di vetro calpestato,
non è lume di chiesa o d’officina
che alimenti
chierico rosso, o nero. 

Solo quest’iride posso
lasciarti a testimonianza
d’una fede che fu combattuta,
d’una speranza che bruciò più lenta
di un duro ceppo nel focolare. 
Conservane la cipria nello specchietto
quando spenta ogni lampada
la sardana si farà infernale
e un ombroso Lucifero scenderà su una prora
del Tamigi, dell’Hudson, della Senna
scuotendo l’ali di bitume semi-
mozze dalla fatica, a dirti: è l’ora. 

Non è un’eredità, un portafortuna
che può reggere all’urto dei monsoni
sul fil di ragno della memoria,
ma una storia non dura che nella cenere
e persistenza è solo l’estinzione. 
Giusto era il segno: chi l’ha ravvisato
non può fallire nel ritrovarti. 
Ognuno riconosce i suoi: l’orgoglio
non era fuga, l’umiltà non era
vile, il tenue bagliore strofinato
laggiù non era quello di un fiammifero.

Eugenio Montale

[da La bufera ed altro – Mondadori]

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