Parole nuove per vecchie ferite. Questo è quello che noi adulti, insegnanti, genitori, uomini e donne ci accingiamo a cercare ogni anno. Perché non si perda la memoria di ciò che è stato, ma non solo. Per aprire gli occhi davanti a ciò che ancora è. Giorgio Perlasca, durante una toccante intervista rilasciata a Giovanni Minoli, chiamato ad esplicitare che cosa lo animasse nel trasmettere la sua testimonianza ai giovani asseriva, con disarmante umiltà, che la sua più grande speranza era che le nuove generazioni, attraverso il suo esempio e quello di altri uomini e donne come lui, imparassero a riconoscere il male, anche quando perpetrato da un’autorità nel pieno dei suoi presunti diritti e poteri, in modo da potervisi opporre e perseguire ciò che è giusto.

Ancora oggi quelle parole risuonano come un monito.

Non saprei dire se siamo stati capaci di raccogliere questa eredità. Ogni anno questa ricorrenza si ripresenta. Ogni anno la viviamo con partecipazione, preparandoci al meglio a qualcosa che ancora riconosciamo e che è capace di toccare le corde di un’umanità che, il giorno dopo, troppo spesso allontana da sé i dolori e le sofferenze delle dittature, visibili e invisibili, vicine e lontane, che ancora costellano il nostro tempo.

Questa è la giornata delle parole mute, dei suoni insondabili, delle immagini vuote. Ancora oggi nessuna parola, nessuna musica e nessuna immagine riesce a descrivere compiutamente il male assoluto.

Ma ammiro il coraggio di chi continua a provarci, di chi, con sacrificio e dedizione, consegna alla letteratura, soprattutto agli albi illustrati e ai libri per ragazzi, il compito di aiutarci a non dimenticare.

Giuditta e l’orecchio del diavolo, di Francesco D’Adamo, illustrato da Chiara di Biagio ed edito da Giunti, vincitore del Premio Strega ragazzi e ragazze 11+ dell’Edizione 2022, descrive un paese devastato non solo dalla guerra, ma anche da una lotta fratricida in cui, per sopravvivere, bisogna guardarsi le spalle. Che cosa può provare una giovane ragazza che deve diffidare ogni giorno, ogni minuto, dei propri amici, dei propri parenti, di coloro che in un altro tempo della propria vita non avrebbe mai dubitato?

Le valigie di Auschwitz, di Daniela Palumbo, edito da Il battello a vapore, narra le vicende di quattro ragazzi che, nell’Europa della guerra e delle deportazioni, vivono l’orrore dello stigma, di una diversità in cui non si riconoscono ma che condanna a morte, di un viaggio in treno di sola andata.

Luci nella Shoah, di Matteo Corradini, De Agostini editore, raccoglie memorie e lo fa attraverso il riconoscimento del valore di oggetti ed eventi della vita quotidiana. Quando si perde tutto, assumono valore proprio i piccoli dettagli. È un sentimento che oggi i nostri bambini e ragazzi fanno molta fatica a comprendere. Lasciarsi andare al suono delle parole come fossero musica, questo diceva Roald Dahl nel suo meraviglioso Matilde. Ci sono cose che non si possono comprendere fino in fondo. Occorre affidarsi al proprio sentire, alla propria mente ed al proprio cuore. Il suo non è un romanzo che parla della Shoah. Ma parla di una bambina non vista. Di una bambina che gli adulti preferiscono umiliare e considerare alla stregua di un oggetto, pur di non riconoscerne lo straordinario valore.

Perciò, con estrema umiltà, accingiamoci a ricordare. Tutto ciò che è stato. E poi proseguiamo il nostro cammino, trasformando la memoria del mondo in un sentimento di accoglienza dell’altro che trascenda lo spazio, il tempo, le etichette e le nostre incrollabili certezze. Ricordare, in questo tempo più che mai, può tradursi in una sola parola: amare.

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