Regia: Kim Ki-duk

Genere: Drammatico

Interpreti: Lee Uhl, Kwak Ji-min, Seo Min-jung

Origine: Corea Del Sud

Anno: 2004

Trama: Yeo-Jin e Jae-Young sono due liceali che, per poter racimolare il denaro per un viaggio in Europa, organizzano un giro di prostituzione in cui la prima prende gli appuntamenti con i clienti e la seconda vende il suo corpo. Un giorno Jae-Young per sfuggire ad un controllo della polizia, si getta dalla finestra della camera in cui si stava offrendo ad un uomo, e muore. Yeo-Jin prende il suo posto e, rintracciando tutti i clienti annotati in agenda, restituisce loro i soldi guadagnati insieme all’amica. Quando il padre scopre la doppia vita della figlia, si metterà a sua volta sulle tracce degli uomini che la ragazza ha incontrato per stanarli e punirli.

Recensione: Il decimo film di Kim Ki-Duk  è una storia d’amore e violenza. Manipolando il romanzo di formazione sulle proprie frequenze mentali, l’autore coreano ancora una volta si esprime con pudicizia, non urla il dolore ma lo insinua sottovoce, tace la sommossa interiore dei personaggi e quindi la rende sconvolgente. Il testo filmico si articola in tre capitoli: Vasumitra, Samaria, Sonata diversissimi tra loro, che spaziano dal rapporto femminile sino all’on the road ascetico e meditativo, toccando macchie di sangue e abissale disperazione; la devastante prima parte si sviluppa in un teorema di voyeurismo e sguardi incrociati, attraverso finestre di fronte (la seduta sessuale) o specchi intimamente riflettenti (la posa scultorea di Yeo-Jin nel suo letto), suggerendo uno sguardo indiscreto dolcemente puntato sulla crepa nel muro. L’abuso del corpo come forma di violenza sublimata è pronta ad esplodere in un’ agghiacciante scena di raccordo; da qui si innesca il doloroso peregrinare di Yeo-Jin che costituisce il motivo del film. La buona samaritana conoscerà la perversione piccolo-borghese e la sua atavica paura dell’estraneo  e si poserà nell’eremo a godere degli squarci naturali, incorniciata dal fogliame autunnale per bisbigliare le stagioni della vita. Come lo spettro che riempiva la casa vuota, di nuovo il cardine dell’intreccio appare giocato sulla linearità dell’antitesi: nell’automatismo della borghesia cittadina sembra insinuarsi un soffio di predestinazione cosmica, essendo il movimento di Yeo-Jin costantemente scandito da episodi biblici e soprannaturali introdotti per bocca del padre.

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