Dopo il suicidio del padre, in seguito alla crisi del ’29 e alla sua scellerata e illegale gestione del patrimonio, parte della famiglia di Violeta, bimba di due anni, si trasferisce dalla capitale del Cile alla fattoria Santa Clara. Lì Violeta trascorre l’adolescenza e, giovane donna, sposa Fabian, riparato dalla Germania. Dopo tre anni di matrimonio senza amore e passione, Violeta si innamora di Julián, un vero e proprio colpo di fulmine, che la indurrà immediatamente a lasciare il marito. Da Julián avrà due figli, Juan Martín, fonte di eterna delusione per il padre, e Nieves, destinata ad una morte prematura per la condotta dissoluta di vita causata dal pessimo esempio paterno. Appena prima di morire, Nieves dà alla luce Camilo, subito affidato alla cura della nonna Violeta, che, seppur sconvolta dalla morte della figlia, deve crescere il nipote. Durante i tragici momenti della vita di Nieves e anche dopo la sua dipartita, Roy, ex factotum di Julian, sta sempre accanto a Violeta finché scopriranno di amarsi profondamente. L’amore tra i due durerà fino alla morte di Roy. Violeta reagisce: non può lasciare Camilo e il suo lavoro che le garantisce da sempre un’autonomia economica. Dopo alcune vicissitudini, Violeta incontra Harald, ornitologo norvegese, e si sposano. Harald aiuterà il figlio di Violeta a fuggire ed ambientarsi in Norvegia. Juan Martín, infatti, dovrà scappare dal Cile per le sue idee progressiste. Ciò rappresenta una nuova perdita per Violeta: il figlio, tornando raramente a farle visita, si sentirà sempre estraneo in Cile e lei non conoscerà i suoi nipoti. Sebbene più giovane di lei, anche Harald morirà lasciandola vedova. Violeta, allora, si dedicherà alla difesa dei diritti delle donne e alla Fondazione Nieves. Dopo una caduta con conseguente infezione, morirà a Santa Clara, dopo aver scritto, sotto dettatura, la sua storia. L’apertura e la chiusura delle sue memorie sono esplicitamente rivolte a Camilo perché perpetui dentro di sé il ricordo, che diventerà memoria, della nonna. Nelle ultime righe, la donna gli spiegherà: “C’è un tempo per vivere e un tempo per morire. E tra i due, c’è il tempo per ricordare. E’ quel che ho fatto nel silenzio di questi giorni […], un testamento sentimentale più che disposizioni di ordine materiale.” Gli confesserà anche: “Si fa fatica a morire, Camilo”.  Quando la donna si sente costretta a ricordare il ritrovamento del corpo del padre, racconta: “Non provo né dolore né tristezza, niente. Posso spiegare cosa vidi, il vuoto e la calma […], ma nulla più”. Non si era mai trovata a contatto con la morte di una persona di riferimento. Ben diversa è, invece, la risposta della madre, arrabbiata con lui per averla lasciata vedova con sei figli, priva di denaro, con il compito di nascondere l’onta di un suicidio in famiglia. Allora, parte della famiglia si era trasferita per nove anni a Santa Clara, chiamando il luogo l’Esilio. Per Violeta, al contrario, esso diventerà per tutta la vita il suo rifugio, dove poter riposare, mettersi in salvo, stare vicino alle persone più care e sofferenti, accompagnandole fino alla loro morte. Violeta trova lì una nuova famiglia, che va ad affiancare quella di nascita. A Santa Clara, inoltre, la sacralità della religione cristiana si mischia a riti di un remoto passato, ricorrendo anche alla guaritrice. La sensibilità degli abitanti rispetto alla morte è dimostrata nell’adeguarsi ai tempi dei moribondi, con la saggezza umana e contadina. I dialoghi tra Violeta ed Etelvina, la sua migliore amica nell’ultimo periodo, ne sono un esempio: “Sto morendo, Etelvina?’’ “Si, signora. Ha paura?” “No. Sono contenta e curiosa. Cosa ci sarà dall’altra parte?” “Non lo so. […] Venga a tormentarci, signora, così ci racconterà com’è morire”. E ancora: “Non so se sia notte o giorno, a volte la notte sembra così lunga che si confonde [..]. Se chiedo ad Etelvina che giorno è, mi risponde sempre la stessa cosa ‘Il giorno che preferisce.” Il sorriso nasce sulle labbra del lettore perché, anche nei momenti più drammatici, la narrazione è sempre pregna di intelligente ironia. Il sincretismo religioso e pagano fa sì che Violeta accetti, pur soffrendo, le tante perdite che costellano la sua vita centenaria. Allende descrive con sensibilità i momenti della morte dei compagni più amati da Violeta, come Roy e Harald. Viene citata anche la data del decesso di Fabian, come sono raccontati il carattere e la morte di Crispín, il leale e fidato cane della protagonista, ma è completamente omessa la narrazione della morte di Julián. La scrittrice utilizza lo stesso escamotage nei riguardi del generale che ha portato alla rovina il Cile. Ne racconta i soprusi, le violenze, le fosse comuni, ma tacerà sempre il suo nome, destinandolo così alla vera morte. Chi non è nominato non entra nel ricordo e nella memoria: la sua morte è inevitabile.

Ilaria Bignotti, psicologa

Allende I. “Violeta”, ed. Feltrinelli, Milano, 2022

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