Immagine: Jan Fabre, Merciful Dream (Pietas 5), (2011)
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di Giordano Pariti

La mia opera è una celebrazione di vita e morte, insieme. È un campo di battaglia, dove spiritualità e bellezza si incontrano e si scontrano”. Jan Fabre

Riprodurre una delle sculture più famose della storia dell’arte, nonché una delle massime icone della cristianità, non è di per sé un’idea vincente; se poi nella scultura vengono alterati il corpo di Cristo e il volto della Madonna allora l’accusa di blasfemia o di ruffianeria è un rischio molto probabile.

Tuttavia, Jan Fabre, con profondo acume, riesce accuratamente ad evitare tale rischio tanto che il suo Merciful Dream (Sogno Compassionevole) potrebbe, al contrario, essere considerato addirittura una estensione del capolavoro michelangiolesco dato che, al contenuto originale dell’opera, aggiunge nuovi input ermeneutici.

Se potessimo mettere le sculture l’una accanto all’altra potremmo constatare che sono fatte dello stesso materiale (il bianco marmo di Carrara) e che hanno uguale forma e dimensione.

Due macro elementi però le differiscono: il corpo di Cristo è sostituto da quello dell’artista e il volto della Madonna è uno scheletro.

Jan-Cristo non è nudo ma indossa un elegante vestito su cui sono posati numerosi animali (lumache, scarabei, cervi volanti, vermi), tutti inevitabilmente associati a precise simbologie della tradizione cristiana e pagana, occidentale ed orientale.

Lo scarabeo, in particolare, è l’insetto che Fabre ha usato in numerose sue opere e che qui ripropone nel suo significato protocristiano di rinascita, resurrezione.

La chiave interpretativa dell’opera molto probabilmente è posta sul cervello sorretto dalla mano di Jan.

In linea con gli studi di Giacomo Rizzolatti sui neuroni specchio, l’artista rende esplicita la teoria del neuroscienziato evidenziando che è proprio il cervello il luogo in cui si realizza il processo dell’empatia, come presupposto fondamentale della compassione. Il volto sfigurato di Maria è dunque la vivificazione del sentimento di empatia nei confronti del figlio morto. Il corpo della Madonna è ancora tutto vivo, avvolto dal manto nelle stesse identiche pieghe della Pietà michelangiolesca, tranne il volto che, anticipando la consunzione di Cristo, diventa esso stesso scheletro.

Lo smisurato dolore della Madre che sorregge il corpo esanime del Figlio rende il suo volto già cadavere. La compassione la fa diventare teschio prima di morire per dichiarare che la morte del figlio è già, per empatia, morte di sé medesima.

La sofferenza è abissale, non lascia alcuno spazio alla salvezza di sé. La morte del figlio annienta ogni prospettiva di sopravvivenza. Fabre a tal proposito dichiara: “la scultura rappresenta la messa in scena dei veri sentimenti di una madre che vuole sostituirsi al figlio morto”.

In questo modo la Pietà travalica il suo ancoraggio a tematiche esclusivamente cristiane per diventare simbolo universale di compassione umana dove Maria incarna tutte le madri afflitte e trafitte per la morte del figlio.