Della morte si sono interessati particolarmente i filosofi, in parte anche alcuni storici e psicologi. Può apparire difficile comprendere immediatamente cosa centrino i sociologi con la morte. Effettivamente direttamente con la morte i sociologi possono centrare poco: si nasce e si muore soli dice un detto popolare che, come la maggioranza dei detti e proverbi popolari,  ha indubbiamente una parte significativa di verità. Con la solitudine il sociologo poco a che vedere dato che la sociologia è certamente una scienza dei gruppi, per quanto piccoli essi siano, delle classi, delle società. Il pensiero della morte inevitabile, che possiedono solamente gli esseri umani, ha però una conseguenza sociologicamente molto importante: la paura.

Possiamo ritenere che le società umane si siano costruite attorno alla necessità di trovare un rimedio non tanto alla morte quanto al contenimento, alla gestione ed anche allo sfruttamento della paura della morte.

«Avevano torto i sofisti nel predicare che la paura della morte è contraria alla ragione perché quando la mia morte arriva io non ci sono più, mentre finché ci sono io la morte non c’è: al contrario, in ogni momento io sono accompagnato dalla consapevolezza che prima o poi la morte dovrà porre fine al mio esserci.

Non potrebbero essere degli istinti a consentirci di assolvere a questo compito – di contrastare cioè, o neutralizzare, quella «paura secondaria», la paura che non viene dall’arrivo della morte, ma trasuda dalla nostra consapevolezza che sicuramente prima o poi essa arriverà. La soluzione di tale compito dev’essere trovata e attuata, se mai possibile, dagli uomini stessi. Ed è questo ciò che bene o male accade, con maggiore o minor successo. Tutte le culture umane possono essere decodificate come ingegnosi congegni che rendono la vita vivibile, nonostante la consapevolezza della morte» ( Zigmunt Bauman, Paura liquida, Laterza, Roma, ed. Digitale 2017, cap. Paura della morte)

Per comprendere la forza, la creatività, l’impatto sociale che possiede questa paura possiamo semplicemente ripensare agli ultimi mesi che abbiamo trascorso narrando gli eventi come se si fosse trattato di una guerra, metafora spesso utilizzata in questo periodo per raccontare la lotta contro il virus. Non di questo scontro vogliamo parlare ma di un  confronto tra importanti gruppi sociali per la difesa dei propri legittimi interessi.

In questi mesi appena trascorsi, in quasi tutte le società del mondo occidentale, i governi hanno convinto senza l’uso di armi ed eserciti miliardi di cittadini a rimanere rinchiusi nelle proprie abitazioni.

«Sono più di 90 gli Stati del pianeta Terra che hanno imposto coprifuoco, quarantena, isolamento o altre misure di contenimento, per un totale di 3,9 miliardi di persone. L’effettiva soglia del 50% dell’umanità (su un totale di 7,8 miliardi) sarà raggiunta venerdì prossimo, con l’introduzione del coprifuoco in Thailandia. Circa 2,78 miliardi di persone da 49 Stati nel mondo sono soggette a isolamento obbligatorio in casa, come in Italia» (Money.it https://www.money.it/Coronavirus-meta-umanita-in-lockdown  2/04/2020)

Comunicando quotidianamente il numero di morti, agitando queste statistiche corredate di opportune immagini e immancabili pareri di specialisti medici, agitando in sostanza la paura della morte, non è stato per lo più necessario l’utilizzo massiccio delle forze armate e della polizia. Attraverso questa paura si sono temporaneamente annullati dei diritti  individuali ritenuti inviolabili nella maggioranza dei paesi occidentali, con le uniche eccezioni dei casi definiti dalla legge e dietro un cosiddetto giusto processo, come le libertà di movimento, di decidere dove andare e chi frequentare. Si sono modificate anche modalità di interazione da sempre ritenute essenziali al buon funzionamento della società applicando il famoso o famigerato ”distanziamento sociale”. Si sono interrotti servizi fondamentali per la società come l’istruzione.

Quello che per un sociologo può anche apparire affascinante è il duro scontro, la battaglia che non deciderà le sorti della guerra ma che ha sicuramente inferto un duro colpo all’avversario del momento. Una battaglia andata in onda su tutte le reti e i quotidiani: quella che il mondo sanitario ha combattuto contro il mondo dell’economia, entrambi trovando alleati diversi nel panorama politico e in quello mediatico.

Le armi di questa battaglia sono state le due paure che nella nostra società liquida, come l’ha definita Bauman, hanno permesso ai governi di prendere fondamentali decisioni, spesso anche molto dolorose, che noi cittadini abbiamo subito: la paura della morte e la paura della povertà, ovvero della perdita dei nostri beni e del nostro status.

 La prima paura, quella della morte, viene impugnata dal potere bio-medico con tutto il suo armamentario di esperti medici, virologi, epidemiologi, biologi, ecc. e con tutto il suo portato di dichiarazioni contradditorie, di lotte e battaglie per il predominio e per essere riconosciuti come gli unici, o almeno i principali detentori della verità. Battaglie interne essenziali per accreditarsi futuri finanziamenti di ricerca e di consulenza offerti da enti pubblici e privati (il biopotere come l’ha chiamato Foucault). Questo grande apparato ha a disposizione una quantità impressionante di risorse economiche e intellettuali e ha la sua organizzazione internazionale: l’OMS (Organizzazione Mondale della Sanità). La parola d’ordine è stata “il virus ci minaccia di morte”

L’altra paura, quella della perdita dei propri beni e del proprio status, quella del terribile rischio di decadere dallo status di lavoratore a quello di disoccupato e povero, è stata impugnata come arma dalla grande coalizione economica, una coalizione che racchiude la finanza, l’imprenditoria, la classe manageriale, gli azionisti, i quotidiani da loro gestiti e una significativa parte politica. Come successo in molte altre occasioni, la coalizione economica ha messo in campo i suoi esperti e le sue figure di richiamo, dai politici popolari agli affermati imprenditori, sventolando la grande bandiera della paura della povertà, elencando quotidianamente le gravissime conseguenze che si stavano abbattendo sulla testa di tutti i cittadini, indipendentemente dalla loro posizione sociale, dalla loro sicurezza lavorativa, se si fossero seguite pedissequamente le indicazioni del bio-potere. Ovviamente queste posizioni sono state avvallate e rinforzate dalle dichiarazioni delle più importanti organizzazioni internazionali come il WTO (World Trade Organization o Organizzazione Mondiale del Commercio) o l’Fmi (Fondo monetario internazionale) e dalle associazioni di categoria come Confindustria, Confartigianato ecc., La parola d’ordine è stata “l’economia muore, dobbiamo aprire prima possibile”.

E’ stata una battaglia sanguinosa. In alcuni stati la coalizione economica ha bloccato il bio-potere sacrificando centinaia di vite. In altri stati il bio-potere ha bloccato la coalizione economica sacrificando migliaia di posti di lavoro. Per lo più la rappresentazione della morte ha avuto il sopravvento e forse per la prima volta da decenni la coalizione economica in questi mesi ha fragorosamente perso la battaglia nella maggioranza degli stati occidentali. Ma presto sicuramente si riprenderà. Va comunque sottolineato il fatto che solitamente bio-potere e coalizione economica non si fanno la guerra, anzi sono spesso strettamente alleati e con questa alleanza oggi, nelle società occidentali, sono praticamente invincibili.

Quindi la paura della morte, associata o meno alla paura della povertà, è un elemento molto importante per comprendere l’evoluzione delle nostre società e il modo in cui vengono governate. Queste brevi riflessioni semplicemente per sottolineare che i sociologi hanno molto da riflettere e studiare sulle conseguenze e sull’uso della paura della morte, una paura atavica che spesso diventa un potente strumento utilizzato da chi governa  e che per necessità o opportunità si allea con il bio-potere, oggi il detentore principale di questa potente arma di persuasione.