Inauguriamo una nuova sezione – Cose dell’altro mondo. Pensieri poetici sul di qua e il di là – a cura di Michele Bellazzini

Comincerò col presentare me stesso. Mi chiamo Michele Bellazzini, ho 54 anni, sono sposato, sono nato in Liguria ma vivo a Bologna dal 1985. Lavoro all’Osservatorio di Astrofisica e Scienza dello Spazio di Bologna, una delle strutture dell’Istituto Nazionale di Astro Fisica (INAF), nel ruolo di Primo Ricercatore. Leggo e scrivo poesie. Nel 2017 ho pubblicato la raccolta Il modo in cui la luce per l’editore Kurumuny (Collana di Poesia Rosada). Nel 2019 ho curato una piccola antologia di poesie della poetessa canadese Rebecca Elson, da me tradotte in italiano, uscita nella stessa collana (Io mangio le stelle).

Ho accettato molto volentieri l’invito di Paola Bastianoni a tenere una piccola rubrica quindicinale di “interventi poetici” sulla pagina di Uno sguardo al cielo. Credo che la nostra civiltà abbia smarrito molti degli strumenti che aveva accumulato nei secoli per rapportarsi con un’esperienza fondante dell’umano come la morte (e dunque come la vita). Fra queste frecce perdute certamente si annovera la poesia. Nella mia piccola esperienza noto che pochissime persone leggono, mi vien da dire usano, la poesia ma ogni volta che le si espone ad essa tutte restano profondamente toccate, specialmente dalla recitazione orale. La miglior riprova della mia limitata testimonianza è la diffusione veramente popolare che hanno avuto le opere di Alda Merini e di Wisława Szymborska semplicemente in seguito a un’esposizione televisiva anche minima. Dunque, come società ci siamo distaccati (per pigrizia? per disabitudine? per disavventure scolastiche?) da un linguaggio che ci è talmente proprio che non esitiamo a riconoscerlo non appena ne veniamo a contatto, anche se crediamo di averlo dimenticato.

Per farla breve, in questa rubrica “Cose dell’altro mondo. Pensieri poetici sul di qua e il di là” proporrò testi poetici di vari autori e varia natura, senza particolari vincoli se non un’attinenza al tema della pagina, in senso sommamente lato. L’intenzione è di aprire una finestrella, di far baluginare la fiamma di una candela, di lasciare un filo, una crosta di pane, un bicchiere di acqua chiara. Si può lasciare lì dov’è. Si può masticare e bere per quel che dà in quel momento. Si può forse afferrare il filo e cercare altro nutrimento, se piace. Tutto qui.

In generale non introdurrò né commenterò i testi che propongo, spiegare una poesia è un po’ come spiegare una barzelletta. Se il testo ci parla, parla il linguaggio dei sentimenti e a ciascuno dice la sua cosa.

Oggi però comincio presentando una poesia a cui sono molto legato e che uso spesso come medicina per lo spirito. Dunque ecco la prima cosa dell’altro mondo per voi. Salute!

La pace delle cose selvatiche

 

Quando la disperazione per il mondo mi cresce dentro

e mi sveglio di notte al minimo rumore

impaurito per quel che sarà della mia vita, dei miei bambini

io vado a coricarmi dove la folaga

si posa sull’acqua in tutta la sua bellezza

e lo splendido airone cerca il suo cibo.

E qui trovo la pace delle cose selvatiche

che non consumano la loro vita pensando al dolore che verrà.

Mi fermo davanti alle acque tranquille

e sento sopra di me le stelle

che hanno atteso tutto il giorno per poter risplendere.

E per un attimo

esisto nella grazia del mondo, e sono libero.

Wendell Berry [da The peace of wild things and other poems, Pinguin Books.

Tradotta liberamente da M. Bellazzini]

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