La perdita di una persona cara durante il periodo dell’infanzia e dell’adolescenza è una evenienza molto probabile, se si considera non solo la cerchia familiare, ma anche gli ambienti frequentati, scolastici e non. La recente pandemia ha reso ancora più evidenti queste perdite, in quanto più numerose e avvenute in modo che non ha permesso di elaborare il lutto in maniera adeguata, in modo da rendere meno difficile superarlo.

Se in Italia non abbiamo ancora dati indicativi, negli Stati Uniti un team di ricerca internazionale dell’Università Stony Brook di New York ha calcolato che circa 40mila bambini americani hanno perso almeno un genitore a causa della pandemia di COVID-19 (Kidman R, et al 2021). Si tratta di un incremento del 20 percento rispetto al dato atteso in assenza del coronavirus SARS-CoV-2. Questo senza contare le morti di nonni, zii e familiari di età avanzata.

Il grande impatto che la perdita di una persona cara ha sulla vita del bambino è stato sottovalutato fino a non molto tempo fa. Questi bambini sono stati infatti definiti “hidden mourners” (Ayslen-Green, et 2017). Freud (Freud S., 1915) pensava che i bambini fossero incapaci di quella che egli definì “decatexi”, cioè il ritiro emozionale di energia psichica tipico del lutto, perché non in grado per il loro sviluppo di sostenere un così arduo compito psicologico fino all’età dell’adolescenza (Wolfenstein M, 1966; Nagera U, 1970; Wolfenstein M, 1969)). Anna Freud notando la relativa facilità con cui i bambini si attaccavano a coloro che sostituivano le madri nella cura, concluse che il bambino non provava dolore per il distacco fino verso i 3 anni di età (Freud A, 1960). Bowlby concluse che bambini già a 6 mesi provano dolore come gli adulti quando viene loro portato via un oggetto di amore (Bowlby J, 1980). Egli teorizzò che per i bambini un lutto “sano” sembra dipendere dalla relazione con il genitore che è morto e dal sostegno emotivo e psicologico che ricevono dal genitore sopravvissuto. Tale sostegno include la comunicazione con i bambini circa la morte e il suo impatto sulla famiglia, facendo partecipare i bambini ai rituali che seguono la morte, provando empatia e supportando le risposte emotive del bambino e le esperienze uniche del dolore. Negli anni più recenti molti studiosi hanno dimostrato che i bambini soffrono per una morte (Furman E, 1974; Furman E, 1981; Furman R, 1964) anche se il loro vissuto del lutto è stato descritto essere breve e intermittente, specifico della situazione e riemergente in modi differenti ad ogni livello di sviluppo mentre il bambino cresce (Worden J, 1996; Bolwby, 1980; Christ G, 2000; Furman E, 1983; Kranzler E, 1990; Silverman P et al, 1993; Tyson-Rawson K, 1996). Spesso l’età è stata usata come una variabile per capire il modo di vivere il lutto. Alcune classi di età si sono rivelate a rischio maggiore di disadattamento: i bambini più piccoli (specialmente quelli più giovani di 5 anni di età) e i giovani adolescenti.

Secondo quanto riportato da uno studio di Christ su 157 bambini di età tra i 3 e i 17 anni (Christ G, 2000) le componenti caratteristiche del dolore per un lutto si esprimono diversamente in età diverse del bambino, in relazione anche allo sviluppo emotivo e cognitivo.

Bambini dai 3 ai 5 anni. Questi bambini hanno difficoltà a capire i concetti di irreversibilità e di non funzionalità, cioè che il corpo del genitore non ha più alcun tipo di attività e che il genitore non ritornerà a vivere. Quando allontanati dal loro caregiver primario presentano un’intensa ansia di separazione e sono sopraffatti se esposti a tristezza e dolore dei genitori. Continuano a fare domande sulla sorte del genitore fino a mesi dopo la morte. Questi bambini esprimono i loro pensieri e sentimenti attraverso il gioco, le fantasie e i disegni, ma vi è un aumento di irritabilità e sono presenti comportamenti regressivi. Chiedono descrizioni complete di cosa accade alla gente quando muore; domandano sulla perdita di funzioni, sulla permanenza della morte, ma anche sulla tristezza e sulle altre emozioni che la gente prova dopo una morte. Riproporre l’evento attraverso il gioco, per esempio con bambole, può aiutarli a capire cosa è successo.

Bambini tra 6 e 8 anni. Questi bambini capiscono immediatamente la definitività della morte del genitore, e sono tristi e turbati quando ne vengono informati. Nel loro dolore vi è la tristezza, la rabbia e lo sconforto collegati a pensieri sul genitore morto, anche se di breve durata. Presentano più sintomi fisici dei bambini più grandi, quali paura, problemi di sonno e ansia da separazione. È in questo gruppo di età, più che in altri, che i bambini parlano apertamente di voler morire così da poter essere vicini o vedere il genitore subito dopo la morte. Questi sono solitamente pensieri passeggeri e non sono accompagnati da vere pianificazioni o da tentativi di suicidio. Il loro lutto viene spesso espresso da ricordi gioiosi del genitore defunto, cosa sconcertante per i genitori sopravvissuti che non capiscono che è un modo adattativo di mantenere una connessione con il genitore morto. I bambini dicono apertamente di parlare con il genitore morto e per la maggior parte questa è un’esperienza confortante.

Bambini dai 9 agli 11 anni. Il processo di elaborazione del lutto dei bambini di età scolare più avanzata, è caratterizzato dalla necessità di informazioni oggettive sulla malattia e la morte del genitore, in modo da raggiungere un senso di controllo, comprendendo l’evento. Pochi parlano apertamente del loro sentirsi tristi, di sentire la mancanza del genitore che è morto, e solo per breve tempo. Questi sentimenti sono generalmente espressi in via indiretta, nell’essere disordinato, ostinato, polemico o introverso. Essi controllano il loro dolore compartimentalizzandolo, fuggono dal dolore buttandosi a capofitto nella scuola o nelle attività extra scolastiche. Questi ragazzi spesso tengono come tesori i vestiti o altre cose che sono appartenute al loro genitore. Provano piacere nel guardare foto dei loro genitori in giorni in cui stavano bene ed erano felici, ma spesso in modo più privato e meno aperto di quanto fanno bambini più piccoli.

Dai 12 ai 14 anni. Prima adolescenza. Il dolore della prima adolescenza è caratterizzato da un evitamento di tutta l’espressione emotiva, eccetto la propria rabbia e lo sdegno, ed anche dall’evitare informazioni riguardo la malattia. Tuttavia parlano facilmente dei loro sogni del genitore defunto e il loro forte senso di presenza del genitore morto. Molti giovani adolescenti dicono liberamente di parlare con il genitore morto, alcuni si chiedono dove sia il genitore e che cosa stia facendo. Questa specifica area di apertura sembra riflettere la loro urgenza di mantenere in modo adattivo una connessione con il genitore. Viene riportato come una esperienza positiva, a meno che la loro relazione con il genitore morto sia stata fortemente negativa.

Adolescenti dai 15 ai 17 anni. Il lutto degli adolescenti di questa età è simile a quello di un adulto, ma non di così lunga durata. Essi descrivono intensa tristezza, desiderio, impotenza e disperazione che interferiscono con le loro attività come la scuola, gli sport e le attività extrascolastiche. L’impatto di questo intenso dolore qualche volta è sottostimato da genitori, insegnanti ed altri adulti, anche perché adolescenti di questa età hanno comportamenti che sono meno chiaramente riconoscibili come dolore, quali comportamenti esternalizzanti, episodi transitori di ubriachezza, attacchi di rabbia, discussioni con genitori e di cui continuano a mettere alla prova i limiti imposti, ad esempio pretendendo più tempo fuori di casa con amici. Questi comportamenti sembrano essere un misto di lutto, reazioni allo sconvolgimento nel ricostituire la famiglia e il processo di stabilire l’indipendenza e la separazione in circostanze avverse. La maggior parte di questi ragazzi partecipano al funerale del genitore. Dopo la tumulazione è più facile cha vadano al cimitero da soli, a pensare e a parlare con il genitore morto.

Molti ricercatori sottolineano come la morte di un genitore porti conseguenze su molte aree della vita del bambino. (Wolchik S et al, 2008) Dopo la morte del coniuge i genitori sopravvissuti si trovano spesso a dover affrontare situazioni stressanti, quali difficoltà finanziarie, cambiamenti di abitazione, perdita di contatti con amici e vicini di casa e nuove responsabilità nella gestione della casa e del lavoro, oltre al loro stesso dolore. La conseguenza è spesso di poter passare meno tempo con i bambini, ad essere meno supportivi nei loro confronti, rinforzando meno frequentemente i loro comportamenti positivi. Quando questo accade il bambino si trova solo ad affrontare il dolore per la perdita del genitore e la paura per i cambiamenti che improvvisamente si trova a vivere.

Non a caso la perdita di un genitore è stata inserita tra gli ACE (Adverse Childhood Experiences) (Felitti VJ, et al 1998; Chronholm PF,2015), cioè situazioni avverse, negative, vissute nell’infanzia, che causano problemi di salute importanti nella vita anche in età adulta, cioè dopo molto tempo dal loro accadimento. Tra questi problemi cardiaci e respiratori, malattie mentali e cancro. L’impatto a lungo termine del dolore per una perdita può essere consistente. La morte mette a dura prova il loro benessere cognitivo, emozionale, spirituale, fisico e mentale. Infatti, ovunque, bambini e giovani che hanno subito un lutto vanno dal medico più spesso per somatizzazioni e possono avere una malattia seria o un incidente importante nel primo anno. Sono a rischio per problemi mentali immediati e a lungo termine, inclusa la depressione, e sono più soggetti ad abuso di sostanze e a commettere un crimine. Possono avere una bassa autostima, possono essere bullizzati e sono ad aumentato rischio per abuso fisico e sessuale e per gravidanze in adolescenza.

Paola Miglioranzi, pediatra di famiglia

Bibliografia

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