Morte e solitudine sono parole che ritornano con prepotenza nel nostro vocabolario. Sembravano parole dimenticate o ad aver perso la loro attualità e crudezza e invece tornano ad incombere sulle nostre vite, a scandire tristemente la nostra quotidianità.

Insieme ad esse altre due parole, pietas e misericordia, se pur tenuemente, fanno loro da contrappunto, le danno un po’ di calore ed umanità.

Giornali e media se ne occupano sempre più frequentemente. Tanti, tantissimi sono ormai i casi di disperazione, di solitudine, di morte che giungono alla ribalta della cronaca.

È del nove aprile scorso la segnalazione del decesso, in assoluta solitudine, di un settantenne nell’ospedale Dario Camberlingo di Francavilla Fontana.L’anziano signore non aveva nessuno al mondo e sarebbe dovuto essere sepolto senza l’affetto e il conforto di alcuna cerimonia funebre. Ma ecco che scatta la pietas, l’umana misericordia, per accompagnarlo nell’ultima dimora, donargli un ultimo saluto e una degna sepoltura.

I fratelli De Cillis, titolari dell’impresa di pompe funebri Nitof di Carovigno, contattano il parroco di San Lorenzo per il funerale e, dopo la celebrazione della Santa Messa, l’orazione funebre e la benedizione della salma, accompagnano il feretro al cimitero insieme agli altri due dipendenti, al sacerdote e al sagrestano. Una vera opera di misericordia, un atto di fratellanza che mai dovrebbe venir meno fra gli esseri umani.

Il culto dei morti e della loro sepoltura è vecchio quanto il mondo così come la credenza che essi continuano a vivere nell’oltretomba e fanno sentire la loro presenza in mezzo a noi dandoci segnali di comunanza, consigli e protezione.

Testimonianza di questo credo sono le tante mitologie e religioni del passato con l’dea che è anche possibile per alcuni, pii e prescelti, raggiungere i propri cari defunti, da vivi nel regno degli inferi.

Anche il Cinema si è occupato più volte di questo testimoniando casi di assoluta solitudine e disperazione a cui, dopo il decesso, persone misericordiose si prodigano per colmarne il vuoto e ravvivarne la memoria.

È del 2013 il film (premiato a Venezia come migliore regia nella sezione Orizzonti) di Uberto Pasolini, nipote del più famoso Luchino Visconti, Still Life (Ancora la vita) in cui John May, umile, meticoloso e solitario impiegato comunale si occupa di raccogliere nella caotica e indifferente Londra i familiari di persone morte in solitudine, ne organizza i funerali, raccoglie notizie delle loro vite, prepara orazioni funebri. Un lavoro che svolge con impegno professionale e meticolosità nella consapevolezza che anche chi vive e muore in assoluta solitudine ha una storia che deve essere riconosciuta e rispettata, che deve sopravvivere e continuare nell’al di là.

Purtroppo non la pensano allo stesso modo i responsabili comunali alle prese con le ristrettezze economiche e alla ricerca di «rami secchi» da tagliare per far fronte al macro bilancio.

Il film ha la struttura di un giallo, pieno di scoperte e colpi di scena, ma è fondamentalmente una storia emozionante, fondata sulla pietas, di un formidabile lirismo.

May è licenziato e chiede, prima di lasciare definitivamente il lavoro al Comune, gli sia concessa la possibilità di portare a termine l’ultimo caso: rintracciare i familiari di Billie Stoke.

Scopre che Billie ha vissuto una vita intensa, inquieta e piena di contraddizioni che l’ha portato inevitabilmente all’alcol e alla solitudine (un lavoro in fabbrica, la guerra nelle Falkland, un ex amore, una figlia, Kelly, mai conosciuta, due amici barboni alcolizzati). L’esatto opposto della sua: pacata, schiva, abitudinaria, anche se ugualmente desolata e solitaria.

Scandagliare la vita di Billie diventa per John ripercorrere trent’anni della sua, prendere coscienza della una sua solitudine interiore, del suo infelice immobilismo che potrebbe, tuttavia, essere interrotto dalla presenza di Kelly.

L’intento del regista è, però, quello di lasciare una figura di traghettatore di anime, un moderno, più umano e pio Caronte che ne facilita il trapasso e ne mette in luce, nonostante tutto, i meriti.

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