E’ passato ormai un anno dalla morte di uomo per me straordinario. Dicevano che fosse uno skipper e che vivesse in una barca. Dicevano che avesse passato buona parte della sua vita per mare e che non avesse accettato di buon grado la reggenza presso il nostro Istituto Comprensivo, perché doveva venire in macchina e lui preferiva spostarsi in bicicletta o a piedi dalla sua barca al luogo di lavoro. Giravano tante voci sul Dirigente Vittore Pecchini, sul suo amore per il mare e per l’avventura e devo dire che credo che,  in buona parte, fossero vere. Ma le persone sono molto di più di quel che si dice di loro. E il Dirigente Pecchini era molto di più di tutto quello che di lui riuscissimo a cogliere. Uno sguardo al primo impatto risoluto e austero celava una delle più grandi capacità di relazione ed empatia che io abbia ad oggi conosciuto. Non si accontentava dei giudizi superficiali, quelli che per lo più la massa tende a dare. Amava entrare nel vivo delle cose e lo faceva mettendo se stesso al servizio del suo lavoro e degli altri. Lavorammo insieme quell’anno ad una della tante “classi difficili”; e lui che di esperienza, di cultura e di saggezza ne aveva da vendere, si affidò a me, giovanissima, e mi lasciò libera di portare avanti un progetto di inclusione così come io desideravo farlo. Ricordo quel pomeriggio in cui nel suo studio progettammo insieme e poi leggemmo uno dei miei romanzi preferiti di Sepulveda, Storia di una gabbianella e del gatto che le insegnò a volare, perché quel libro volevamo leggere ai bambini e lui voleva che ci esercitassimo. E lui lo lesse insieme a me, perché era il modo che aveva per dimostrare agli insegnanti il suo appoggio e la sua partecipazione alle fatiche quotidiane. Lo guardavo agli incontri con i genitori, con i servizi sociali, con l’ufficio scolastico e mi trasmetteva sicurezza. Ho sempre avuto l’idea che lui fosse uno di quegli uomini a cui non cade mai il mondo addosso. Lo vidi ad un’ultima riunione al servizio sociale e lo abbracciai, certa che a settembre ci saremmo rivisti. Quando mi dissero che aveva ottenuto il trasferimento a Venezia pensai che quella sua sete di mare e di sfide non si fosse ancora placata. Mi dispiacque molto non averlo potuto salutare e dirgli quanto quell’anno insieme avesse significato per me, quanto avessi imparato da lui senza che lui avesse mai voluto insegnarmi niente. La notizia della sua morte mi ha sconvolta. E, ancora una volta, mi ha fatto riflettere su quanto la nostra società stia perdendo il senso del limite nella gestione dei rapporti umani. Vittore Pecchini si è tolto la vita, al termine di un anno scolastico molto difficile. Con queste poche righe non voglio solo ricordare la sua morte, ma soprattutto dare valore alla sua vita, quella vita che valeva ben più dei pezzi di carta ai quali troppo spesso prendono il sopravvento sull’essereumano. Troppe volte tendiamo a dimenticare che dietro alle circolari, ai bilanci, alle decisioni magari prese a malincuore ci sono persone, persone che non vivono il lavoro in maniera avulsa dalla propria vita. Troppo spesso dimentichiamo che la battaglia di principio più sacrosanta non ha valore se per portarla avanti calpestiamo la dignità dell’altro. Troppo spesso questa società imperniata sul risultato e sulla produttività ad ogni costo finge di non sapere che il prezzo è la completa solitudine di chi lavora seguendo la sua coscienza. Una solitudine che si materializza ogni giorno di più quando vi sono decisioni da prendere, contestazioni alle quali far fronte, scontri che spesso rasentano il limite della civiltà. E quando qualcuno asserisce che le contestazioni nulla tolgono al valore umano delle persone, in quanto unicamente rivolte alle decisioni prese, mi chiedo se questa scissione dei ruoli e delle prerogative non sia il vero cancro della società moderna: come possiamo, da persone intellettualmente oneste, pensare di separare il Dirigente dall’uomo? Come possiamo pensare che una contestazione, ancorché riferita  a decisioni sicuramente discutibili e soggette a molteplici correnti di pensiero, possa essere accettata dal Dirigente ma accolta con distacco dall’essere umano? Che cosa vogliamo insegnare ai nostri alunni, peraltro già così disorientati da questa società individualista e personalista? Che il fine giustifica sempre i mezzi? Che non contano le parole che usiamo, le scelte che facciamo, le azioni che intraprendiamo, perché ciò che è più importante è lo scopo che vogliamo ottenere? E cosa dire del valore del dialogo, dell’importanza di sostare nella diversità, nella divergenza di opinione, persino nel conflitto vero e proprio, perché è tempo di cominciare a capire che la verità è sempre diversa da quella che noi crediamo di possedere. Non avevamo mai parlato della morte io e il Dirigente Pecchini. Come tutti gli uomini di spessore e valore, siamo portati a credere che debbano vivere in eterno, che la morte non li colga mai. Quando rivolgo uno sguardo al cielo, verso tutti coloro che per varie ragioni ho amato, non riesco a non pensare anche a lui. Dicevano che il Dirigente Vittore Pecchini vivesse su una barca e che da lì scegliesse le sue future mete, le sue future avventure, le sue future scuole, purché fossero vicine ad un porto. Continui il suo viaggio Dirigente: ovunque lei sia, vegli sulla nostra capacità di avere sempre il coraggio di scegliere e di fare ciò che sentiamo giusto, anche se impopolare.

Categories:

Tags: