Bentrovate e bentrovati a questo nuovo appuntamento della rubrica Immortali. Oggi approfondimento molto ricco: la morte nei romanzi per le/gli adolescenti. Un rapporto particolarmente interessante, che prende spunto dalla chiacchierata, anch’essa bella densa, avuta con Angela Catrani nell’ultima puntata del podcast Sulla soglia. E siccome nel mare magnum internettiano può capitare di perdersi, se avete piacere ad ascoltarlo ecco il link per recuperarlo:

Iniziamo!

Una prima possibile presenza della morte può essere nel “ruolo “di incipit narrativo, in cui è causa dello scombussolamento di quella quiete iniziale propria delle storie che si basano sul modello del cammino dell’eroe/eroina. Nella produzione edita per adolescenti una delle soluzioni più comuni è la dipartita dei genitori. Mi spiace molto per questa categoria ma è un elenco lungo quello dei romanzi in cui accade. Da un lato è sicuramente effetto di una “comodità” narrativa. Infatti, quando abbiamo protagoniste/i adolescenti, questo crea un disequilibrio sociale importante, una necessità di autonomia e crescita con relative prove, una maggior libertà di movimento, e tanto altro ancora. Tra questo, tanto altro, anche una forte predisposizione alla empatizzazione con le protagoniste/i da parte di chi legge.

Come avviene ne L’albero delle bugie, di Frances Hardinge edito da Mondadori.

Ci troviamo nell’Inghilterra vittoriana. La nostra protagonista è Faith, una ragazza estremamente intelligente ed acuta che, saltuariamente, aiuta il padre, un reverendo studioso della natura, nelle sue esplorazioni. La storia inizia con la famiglia che è costretta ad un trasferimento improvviso. Non passa molto tempo che un altro sconvolgimento sopraggiunge con la morte del capofamiglia per sospetto suicidio. L’avvenimento, inaspettato, crea una situazione di disequilibrio e caos ed innesca una catena di movimenti familiari interconnessi a livello economico, sociale e religioso. In questo Faith si trova a voler investigare per capire cosa è accaduto veramente.

Un cammino che la porta a scoprire, con le sue azioni, che può provare ad essere un’altra rispetto a quanto la società richiede ad una signorina di buona famiglia.

Continuando in questo “sterminio genitoriale” un altro classico è l’orfanezza. Se per i più piccoli/e una certezza sono, tra gli altri, i romanzi di Roald Dahl, per la prima fascia adolescenziale una lettura, semplice ma ben scritta, potrebbe essere la Foresta d’ombra, scritto da Matt Haig ed edito da DeAgostini.

In questo libro trovo interessante come la morte compaia in due forme di peso e consistenza differenti. La prima è quella dei genitori di Samuel e Marta, protagonisti della storia. Qui la scura mietitrice assolve ad un ruolo squisitamente narrativo, in quanto porta fratello e sorella a trasferirsi nel nord Europa dalla zia. Il secondo incontro avviene, quasi subito, nella nuova cittadina ospitante. Qui incontriamo una morte presente in forme differenti: lo zio scomparso anni addietro senza lasciare tracce, il bosco vicino in cui “è proibito entrare”, la paura di rimanere di nuovo soli al mondo. Ed infine la sfida verso il pericolo, unica strada per Samuel e Marta per trovare una soluzione al mistero presente intorno a loro.

La sfida con la morte risulta un’altra delle forme particolarmente ricorrenti nelle storie edite per ragazze/i. Un classico moderno è Nelle terre selvagge, di Gary Paulsen, edito da Piemme.

La trama è essenziale. Il Cessna 406 su cui Brian sta viaggiando precipita in una foresta. È l’unico superstite ed attorno a lui non ci sono avamposti umani. Inizia così una sfida il cui unico obiettivo è rimanere in vita. Gary Paulsen conosce bene lo stare in natura e i suoi pericoli. Questa sapienza, in cui è impastato questo breve romanzo, offre a lettrici e lettori un confronto con una paura della morte concreta, mai esibita per intrattenere con faciloneria, che ci si trova a vivere in prima persona.

Approfondiamo questo rapporto narrativo con la morte come prova, come rito, come incontro che porta a dover fare delle scelte.

Proviamo ora, coraggiosamente, a ribaltare le carte con La zona morta, romanzo edito da Sperling & Kupfer per la penna di Stephen King. In questo romanzo l’obiettivo di rimanere in vita assume toni epocali. Siamo negli anni ‘70, Maine, quando Johnny Smith, grazie alla sua capacità di vedere il futuro, scopre che un politico locale sarà la causa di una guerra nucleare. Ecco che il re dell’horror ci porta nei panni di un uomo che deve ucciderne un altro a sangue freddo sulla base di un possibile, quasi sicuro, bene superiore.

Torniamo nel concreto e nell’avventura per chiudere questa piccola sezione con una sfida alla morte in stile quasi western. Ecco a voi L’ultima caccia, di J.R. Lansdale edito da Fanucci.

Siamo nel 1933, in Texas, nel pieno della Grande Depressione. Una sera Richard, quattordici anni, si trova a casa con la mamma, incinta, e la sorellina. Improvvisamente sentono un urto inquietante sulla porta di casa loro. Scoprono che il Vecchio Satana, un leggendario cinghiale che si pensa sia maledetto, sta cercando di entrare a casa loro. Il cinghiale fugge ma la paura provata porta la mamma a dover rimanere sotto osservazione da Doc, medico locale e amico di famiglia. Anche perché il padre del nostro giovane protagonista non è in città e non tornerà prima di una settimana.

Ed ecco che nella mente di Richard e del suo miglior amico, prende forma la peggiore delle idee: uccidere il cinghiale, vendicare l’attacco subito, diventare degli eroi.

Lo scrittore statunitense dà vita ad un’esperienza di un rituale di crescita in piena sfida con la morte. Abbiamo il bosco, due ragazzi da soli, le armi – un fucile ed un arco – l’animale totemico. E la sfida, reale, all’ultimo sangue.

Apriamo ora ad un’altra possibile funzione della morte. Come sappiano non è sempre è solo motore narrativo o sfida. Ci sono infatti romanzi in cui diventa lo spazio narrativo ambientale. È il caso di Alla fine del mondo, di Geraldine McCaughrean per Mondadori.

Ci troviamo nel 1727 in Scozia, nell’Arcipelago di Saint Kilda. Il romanzo, vincitore della Carnegie Medal nel 2018, ci porta alla sopravvivenza pura richiamando alla mente una pietra miliare come Il signore delle mosche. Alcuni ingredienti sono simili. Un gruppo di ragazzi e ragazze in un’isola deserta. La necessità di doversela cavare in totale autonomia. Il rapporto tra sopravvivenza, violenza, comunità.

McCaughrean ci immerge così in una realtà in cui la morte, temuta, idealizzata, agita, è uno degli spazi immaginativi che ci pone davanti ad interrogativi fondamentali. Lo stile caratteristico, il fatto che il libro si basi su una storia realmente accaduta, il rapporto con i rituali esplicito danno un carattere particolare a questo racconto.

Un’ambientazione in cui il morire diventa contesto la si trova di frequente nei romanzi di guerra. Affrontiamo questo rapporto morte-romanzi con un altro classico contemporaneo vincitore della Carnegie Medal: La macchina da guerra, di Robert Westall edito in Italia da Salani.

Ci troviamo durante la Seconda guerra mondiale in una cittadina sulle coste dell’Inghilterra. Tra i ragazzi del posto è in atto la sfida a trovare i migliori ricordi ed esemplari bellici. Chas, il nostro protagonista, ha appena perso la leadership e vuole assolutamente riconquistarla. L’occasione è la caduta di un aereo tedesco in pieno parco cittadino. Il ragazzino non tentenna e va in esplorazione sino a trovare l’aereo. Mentre lo esamina apre la cabina di pilotaggio e trova davanti a sé il cadavere del pilota. Un’immagine che gli rimane impressa negli occhi.  Ancora sconvolto trova anche una mitragliatrice pesante, montata sul veicolo. La vuole. La smonta. La prende con sé. Così lui, ed alcuni suoi amici, si trovano tra le mani un congegno progettato per uccidere. Il romanzo di Westall affronta la fascinazione per la morte e dà forma ad un corteggiamento esplorativo ed al “potere vitale” che questa può suscitare.

Chiudiamo questa piccola sezione con un romanzo molto più vicino a noi. Mi riferisco a La scelta, di Luisa Mattia per Sinnos.

Ci troviamo in una zona dell’Italia in mano alla criminalità organizzata. Per il nostro protagonista, Totò, la morte assume varie forme. Quella dei genitori totalmente assenti. Quella del rischio costante in un contesto gestito dalle cosche. Quella della prova che deve portare a termine suo fratello maggiore, per lui unico punto di riferimento familiare, così da poter entrare nel clan dominante. Ed infine quella legata al titolo della storia. Totò, infatti, si trova a dover scegliere se permettere la morte di una ragazzina e del padre per salvare suo fratello dal carcere. Oppure… Un romanzo che nella sua brevità ci tiene costantemente davanti al peso della decisione, dell’essere arbitro della vita o della morte di persone innocenti.

Ci sono poi romanzi dove la morte è legata ai luoghi.  Una sottosezione, questa, in cui l’horror la può fare indubbiamente da padrone. E noi, proprio per ribaltare questa ipotesi, iniziamo con un romanzo di tutt’altro genere. Mi riferisco a Il grande gioco, di David Almond, edito per Mondadori.

Diamo voce direttamente alle parole dell’autore grazie all’incipit della storia:

Pensavano che fossimo scomparsi, ma si sbagliavano. pensavano che fossimo morti, ma si sbagliavano… Sì, eccoci qua, noi, i ragazzi scomparsi, tornati nel mondo come per magia: John Askew, faccia annerita, collanine d’osso attorno al collo, corpo coperto di tatuaggi; Allie Keenan, la perfida “brava bambina” fatta di ghiaccio, con la pelle d’argento e gli artigli d’acciaio; Jax, il cane selvatico; e io, Kit Watson, con la testa piena di antiche storie e tanti sassi colorati fra le mani.

Come possiamo leggere, si evince subito il legame simbolico con la terra. Legame che si fonda su un rapporto concreto con il luogo in cui è ambientata la storia.

Kit, il nostro giovane protagonista, deve tornare con i genitori nella cittadina di origine della mamma in quanto il nonno non sta bene. Si trova così catapultato a Stoneygate, un’ex cittadina mineraria in cui l’architettura, i resti, il terreno, raccontano del passato e del rapporto con la morte. Ed ecco che Kit, insieme ad altre amiche ed amici, danno vita al Gioco della Morte tra i cunicoli sotterranei delle miniere. Almond da forma e forza al passato, al ricordo, ed al rapporto di questo con la vita, rendendone concretezza e circolarità.

L’horror, dicevo, ha sicuramente tanto da offrire sul rapporto luoghi-morte. Vi propongo così un romanzo breve di Mary Downing Hahn dal titolo Quando Helen verrà a prenderti, edito da Mondadori.

Ci troviamo in Inghilterra dove fratello e sorella con la sorellastra cinquenne, una mattina si trovano a perlustrare il terreno intorno alla nuova abitazione. Qui scoprono la presenza di un vecchio cimitero di campagna e, come se non bastasse, che una delle vecchie lapidi ha lo stesso nome della bimba. Inizia così un horror sottile, in cui è difficile capire cosa sia vero e cosa no. Una storia in cui la morte del passato si intreccia con la storia del presente.

Chiudiamo l’approfondimento con tre storie in cui la morte assume una dimensione metaforica, spesso di riflessione su tempo e vita.

La prima è La casa che ti porta via, di Sophie Anderson, per Rizzoli.

La nostra protagonista si chiama Marinka, ha dodici anni e vive con la nonna, una Baba Yaga. O, come viene spesso chiamata, Una Guardiana dei Cancelli, il cui compito è traghettare le persone morte verso l’aldilà. Il quotidiano della ragazzina si basa su spiriti, ritual, cancelli d’ossa, morte. Quello che vorrebbe invece è una vita “normale”. Tra sogni e bisogni adolescenziali di vita veniamo immerse/i in un ricco mondo di immaginari e simbologie di morte che fanno da costante sfondo alla storia.

Continuiamo con la storia di un’altra ragazza. Anzi, due. Mi riferisco a Giulia e Arianna, protagoniste de L’isola del tempo perso, di Silvana Gandolfi, edito da Salani.

Le due ragazzine, amiche per la pelle, si trovano improvvisamente catapultate in un’isola dove il tempo non passa e dove finiscono gli oggetti, ed anche le persone, che si perdono. Ed in cui si può vivere in eterno senza che il tempo trascorra. La scrittrice italiana gioca così sulla classica domanda sul vivere in eterno dandogli una forma assolutamente personale e concreta.

Chiudiamo con un ultimo classico contemporaneo. Mi riferisco a La casa degli anni scomparsi, edito per Salani, in cui Clive Barker, l’autore, dà forma alla domanda del vivere in eterno con sfumature che toccano romanzi di formazione, horror e fantastico.

Cosa fareste se vi offrissero la possibilità di stare in un luogo dove ogni vostro desiderio può essere esaudito, dove non invecchiate, dove ogni giorno ricevete in dono ciò che avete sempre sognato? Sembra una meraviglia? Naturalmente no, come possiamo facilmente immaginare. Barker, richiamando immaginari collodiani, gioca con il desiderio, dando una forma capace, in alcuni tratti, di dar voce al lato oscuro e nascosto dell’umano.

Ahimè lo spazio per questo approfondimento è finito. Tante forme del rapporto tra morte e produzione editoriale per adolescenti sono rimaste tra gli scaffali della mia libreria, ma troveranno spazio in futuro. Se volete continuare su questo percorso non mi resta che rilanciare ad alcuni saggi in bibliografia e all’intervista ad Angela Catrani, dove potrete trovare altri consigli e riflessioni. 

E, come sempre, vi saluto augurandovi ottime letture!

Bibliografia

  • Frances Hardinge, L’albero delle bugie, Mondadori
  • Matt Haig, La foresta d’ombra, DeAgostini
  • Gary Paulsen, Nelle terre selvagge, Piemme
  • Lansdale J. R., L’ultima caccia, Fanucci.
  • Stephen King, La zona morta, Sperling & Kupfer
  • Geraldine McCaughrean, Alla fine del mondo, Mondadori
  • Robert Westall, La macchina da guerra, Salani.
  • Luisa Mattia, La scelta, Sinnos
  • David Almond, Il grande gioco, Salani
  • Mary Downing Hahn, Quando Helen verrà a prenderti, Mondadori
  • Sophie Anderson, La casa che ti porta via, Rizzoli
  • Silvana Gandolfi, L’isola del tempo perso, Salani
  • Clive Barker, La casa degli anni scomparsi, Salani

Altri rilanci

Qui trovate altri approfondimenti e consigli di lettura sul rapporto immaginari di morte e adolescenti che abbiamo esplorato precedentemente

Saggistica e altre bibliografie

  • Milena Bernardi, Orfanezza e metafora e diversità letterarie, Bononia University Press
  • Liber 117 – “Guardare dentro l’abisso”, https://libriamoci.cepell.it/II/?p=8341
  • Attraversare l’ombra, bibliografia coordinata dalla Biblioteca Scientifica del CRO di Aviano. Al link la bibliografia ed il gruppo di lavoro da https://www.croinforma.it/attraversare-lombra/

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